venerdì 1 febbraio 2013

Paco ha ucciso le rose


Paco ha ucciso le rose                                             
di innocenza perduta,                 
in un banale tranello
dietro un angolo della vita.
Seguiva il profumo di una pelle d’ambra
affidando alla luna troppo distante
le sue poche stagioni
colme di attese.
Le rose hanno ucciso Paco,
di amore e sangue,
né resta il verde
di foglie e speranze.

Paco ha quindici anni, ma sembra più grande, visto da dietro, col fucile a tracolla.
Paco ha quindici anni, ma sembra più piccolo, quando gli leggi negli occhi che il suo primo e unico gioco è stata una rivoluzione antica come la fame.
Non ricorda con precisione il volto di sua madre, perché tante donne l’hanno cullato nell’amaca, tesa tra gli alberi di una selva umida che cresce rigogliosa nel cuore di una disperazione lontana, affondando le radici nel sangue di un’offesa a malapena raccontata nei libri di storia.
Paco non sa leggere la storia, Paco non sa leggere affatto, ma è la Storia, un sassolino di una montagna di ingiustizia.
Ma Paco non sa che la storia non è etica e che si nutre di ragioni a posteriori, sa solo che non ha casa, né cibo, né diritti: del primo fatto si accorge quando gli piove sulla testa tutta l’acqua che Dio continua a donare in abbondanza e che nessuno – per ora- gli vuole portare via; del secondo gli parla il suo stomaco, che appena può tenere in piedi quel mucchio di ossa e pelle bruna; quanto ai diritti, sono altri ad avergliene parlato, perché lui non li conosce, non sa neppure cosa siano, ma sa che ha ragione il Comandante quando dice che senza di essi non vale la pena di vivere, ma per conquistarli vale la pena di morire.
Paco ora vive abbracciato al suo fucile, pensa di essere un uomo e di avere grandi responsabilità.
Sogna che quando la terra verrà restituita ai contadini, anche lui forse avrà un piccolo campo e una casa, avrà una moglie e dei figli che non avranno bisogno di farsi marcire le ossa dall’umidità della selva, né di vivere o morire per qualcosa.
Avrà dei figli che potranno vivere e basta.
Se questi sono i diritti, allora Paco sa benissimo di cosa si tratta.
Tra le tante madri e i tanti padri dei quali ha visto scorrere il sangue e le speranze, è cresciuto fiero e coraggioso; braccato come la genia di una stirpe braccata, ha occhi da felino e nervi sempre tesi.
Ha paura, a volte, dell’immenso silenzio, del verde maestoso, della luce del sole che filtra tra i nodi intricati delle fronde degli alberi.
Paco si sente un uomo perché il seno delle donne ora non è più il ricordo di quando il suo appetito veniva saziato, ma il mistero di un altro appetito, più giù, più in basso della pancia sempre vuota.
Intorno a lui ci sono solo madri e sorelle, confuse e mescolate come chicchi di mais dopo il raccolto, o dopo la falciatura.
Non può uscire dalla selva durante il giorno, e anche la notte il rischio è grande, ma il destino ha una logica strana e dispone di un mazzo di occasioni, truccato come quello di un baro.
È così che Paco vede Blanca, che ha tredici anni e un nome sbagliato, salvo quando la luna accarezza la sua pelle d’ambra.
Blanca è bellissima e sembra un fiore. Paco immagina di poter sfogliare a uno a uno i suoi petali profumati e si perde, abbracciando il fucile troppo freddo, su sentieri di aromi che lo fanno vibrare, e pulsare, e desiderare, più della casa, del cibo e dei diritti.
Paco percorre, con gli occhi, col cuore e con ogni nervo teso del suo corpo di ragazzo, tutte le linee della pelle di Blanca durante le notti senza fine della selva senza fine, nel tempo senza fine di una rivoluzione antica come la fame.

- Vederla, solo un attimo ancora, poco cammino fino alle soglie del paese, pochi passi tra i cespugli di rose, le guardie non mi vedranno… -

C’è la luna Paco, una luna grande, tonda e lontana.

C’è la finestra di Blanca, il silenzio della notte e un vento leggero che porta il suo profumo nell’aria.
Ci sono i petali delle rose: è così che dev’essere la pelle di Blanca, solo a poterla sfiorare.

Paco è silenzioso come un gatto e porta con sé il fucile.
Cammina guardingo non appena esce dalla protezione della sua selva. Attraversa i campi, ogni tanto si acquatta insospettito da qualche rumore.
Non è lontana la finestra di Blanca, manca poco alle rose.
Paco cammina e ora il tempo ha una meta, la notte ha un nome, la vita uno scopo e un valore che nessuno gli aveva insegnato.
Paco è giunto sotto la finestra di Blanca, se ferma il suo cuore riesce a sentirla respirare. 
Paco accarezza le rose.

Poi, all’improvviso, uno sparo.

Paco cade, ma i suoi occhi erano già chiusi e il suo cuore già immobile: col fucile a tracolla abbracciava le rose.

Paco ha ucciso le rose.
Le rose hanno ucciso Paco.


<dedicato a mia figlia Martina quando aveva quindici anni>



3 commenti:

  1. la solita perfezione. che 'solita' non sia intesa in accezione negativa.
    incuriosisce la dedica e un po' inquieta.

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  2. Anzitutto grazie! Volevo scrivere una postilla, proprio per spiegare la dedica e ti ringrazio per avermene data l'occasione.
    Tempo fa, quando mia figlia aveva quindici anni ed era in vacanza in montagna, durante una telefonata sentii alle sue spalle un gran fracasso e lei si mise a ridere.
    "Che succede?" -le chiesi
    "Mamma, Paco ha ucciso le rose!"
    Un suo amico, tal Paco, era infatti franato con il motorino su un cespuglio di rose e l'aveva sradicato.
    La frase mi piacque moltissimo e le promisi che ci avrei scritto su una storia. Passò del tempo e un giorno lei venne a reclamare la sua storia, così mi misi a scrivere e, come da sola, venne fuori questa.
    Altri tempi, altri mondi, altri adolescenti e altre latitudini...

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  3. Me li ricordo benissimo quei tempi e mi ricordo l'emozione che mi diede subito questo bellissimo racconto. Oggi l'ho riletto con immenso piacere.

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