lunedì 4 febbraio 2013

La Scelta


I due giovani, un uomo e una donna, suonarono il campanello seminascosto da un fregio accanto al portone di legno spesso.
Venne loro ad aprire una donna alta, sottile, dal volto esangue, sul quale brillavano grandi occhi di un blu profondo. 
Vestita in maniera sobria di una tunica di lana grigia, chiara e calda, la donna li introdusse in un vasto atrio sul quale si affacciavano una scala e un’unica porta: niente altro, né un mobile, né un quadro, né una fonte visibile di luce se non un lucernaio triangolare che si apriva sul soffitto molto alto.
Le pareti del salone erano tinteggiate di un celeste tenue, che salendo lungo le pareti sfumava quasi impercettibilmente verso il bianco; candido, quasi glaciale, il soffitto. Il pavimento era una superficie unica, calda, perfettamente bianca ma disseminata di petali di rosa dipinti, perfetti.
Con voce pacata e gentile la donna indicò la strada ai visitatori: 
- Seguite le scale. Il Laboratorio si trova di fronte ai gradini. Bussate e attendete che il Professore vi apra.- 
Parlava con un tono caldo e affascinante, che in un primo momento sembrava stonare col suo aspetto semplice; tuttavia, osservandola con maggiore attenzione, la donna appariva armoniosa e perfettamente a suo agio, si muoveva disegnando gesti ampi e lenti, camminava con passo leggerissimo calzando pantofole chiuse di panno dello stesso colore dell’abito.
I due ospiti seguirono con lo sguardo la mano 
affusolata che indicava loro la scala, fecero un cenno col capo e, in silenzio, cominciarono a seguire i gradini.
La scala era chiusa tra due pareti, della stessa tinta del grande atrio e altrettanto spoglie, ma non era stretta. Lungo i muri, da entrambi i lati, erano tesi corrimano formati da una grossa treccia di seta blu, lisci e allo stesso tempo solidi. 
Giunti al termine della breve salita, i visitatori trovarono un pianerottolo, sul quale si attendevano la porta del Laboratorio, ma vi trovarono invece due pareti interamente coperte da tendaggi della stessa seta blu dei corrimano, che formavano un angolo aperto su un’altra rampa di scale, questa volta in discesa. Temendo di non aver compreso la semplice indicazione che la donna dell’atrio aveva fornito loro, l’uomo provò a scostare i drappeggi, immaginando di trovare la porta del Laboratorio. 
Dietro le tende, invece, c’erano solo muri celesti, sfumati verso il soffitto di ghiaccio.
Neppure sul pianerottolo erano visibili fonti di luce, eppure tutto era perfettamente illuminato, come se il grande lucernaio dell’atrio fosse sufficiente ad irradiare chiarore in tutti gli ambienti della casa.
La giovane donna guardò il compagno: nel suo sguardo si leggeva chiaramente il dubbio, misto a malcelato timore.
L’uomo, più deciso, le prese la mano con vigore invitandola tacitamente a scendere i gradini della scala, che pur essendo identica alla precedente, dirigeva in direzione esattamente opposta.
Questa volta il percorso fu piuttosto lungo ed i passi dei due visitatori più appesantiti dalla titubanza, ma dovevano incontrare il Professore.
Dopo qualche minuto, incalcolabile, la coppia si trovò di fronte una porta altissima, perfettamente bianca, sulla quale fiammeggiava al centro una grande rosa rossa dipinta, dischiusa ed opulenta, così perfetta da apparire effettivamente viva, di velluto delicato al tatto.
Bussarono e attesero.
Trascorso qualche secondo -incalcolabile- uno scatto secco aprì i battenti della porta, lenti e silenziosi, mostrando un ambiente enorme, dai contorni a prima vista indistinti, che attirò ad entrare l’uomo e la sua compagna con una indicibile forza magnetica. 
Come varcarono la soglia, la porta si richiuse col medesimo movimento, al quale seguì un secondo scatto.
Nel Laboratorio regnava un’atmosfera rarefatta, amplificata da un silenzio irreale. 
L’ambiente riproduceva esattamente l’atrio: stesse pareti alte e celesti completamente spoglie che sfumavano verso il bianco glaciale del soffitto, stesso pavimento caldo e liscio disseminato di petali rossi dipinti, veri come quelli di una rosa in piena fioritura.
La luce, come all’ingresso, proveniva da un grande lucernaio triangolare aperto sul soffitto; un’unica porta, una scala che saliva identica a quella già percorsa.
Solo in un aspetto il Laboratorio differiva dall’atrio: lungo le pareti erano disposte grandi teche di cristallo, ciascuna delle quali custodiva esseri umani nudi e deformi, vivi.
Una lunga scaffalatura, anch’essa di cristallo, occupava il centro del Laboratorio e su di essa, a loro volta, erano disposte altre teche, di diverse dimensioni, che esponevano animali di tutte le specie, anch’essi deformi e vivi.
I giochi dei cristalli permettevano di avere un’agghiacciante visione d’insieme.
La donna, non appena la sorpresa le permise di distinguere i mostruosi dettagli di ciascuno degli esseri così orribilmente esposti, chinò il viso sulla spalla del compagno con un urlo strozzato, un singhiozzo roco e profondo che le congelò le lacrime. L’uomo aggrottò la fronte cingendo le spalle della sua donna come per proteggerla, in un gesto istintivo, ma disarmato.
Avanzarono così, cautamente, come catalizzati dalla forza che quelle visioni erano capaci di emanare, spinti dall’attrazione e dallo sgomento insieme.
Uomini con la pelle viscida come rane, di un verde chiarissimo e opalescente; individui con gli occhi spalancati, dei quali si vedeva solo la cornea lucida come una perla, che pure davano l’impressione di guardarli con fissità; braccia anchilosate ai lati di corpi gibbosi, quasi schiacciati dal peso di enormi teste completamente calve; mani e piedi ad artiglio, quasi innesti di rapaci su arti umani; volti di rettili, con lingue sibilanti, appartenenti ad esseri glabri e trasparenti dei quali si potevano scorgere gli organi vitali sotto la pelle sottile; donne sinuose come sirene sulla cui schiena si aprivano ali rachitiche di liscia cartilagine; creature umane simili a scimmie notturne con occhi tondi e gialli.
Ogni animale, poi, recava in sé qualche traccia di un possibile martirio genetico che ne stravolgeva l’aspetto conosciuto, pur permettendone l’identificazione.
Ciascuna di queste creature, tuttavia, non pareva sofferente, ma piuttosto vivere con estrema naturalezza una condizione che ai visitatori, invece, appariva terribile.
- Interessante, non trovate?- una voce ruppe il silenzio- Una galleria davvero interessante- prolungava ogni suono, come calcando sulla pronuncia, con un timbro leggermente nasale.
I due giovani videro un uomo uscire dall’unica porta che si apriva sulla sala: il Professore.
Era alto, proporzionato e si muoveva con grande eleganza, avvicinandosi a loro con un passo morbido che non tradiva alcuna fretta, ma c’era il lui qualcosa di inaspettato: aveva la faccia di un topo, un ratto scuro che sorrideva mostrando schiere di denti affilati.
-Stupiti, immagino. Non vi preoccupate, tuttavia– proseguì il Professore scandendo ogni sillaba con cadenza misurata– non vi preoccupate! Ciò che vedete non è né frutto di esperimenti, né un serraglio di mostruosità da circo, né prodotto di crudeltà, quantomeno non intenzionali...- 
Pronunciò le ultime parole lasciandole sospese, come se volesse proseguire.
Trovandosi invece di fronte ai suoi ospiti, restò in silenzio.
C’era qualcosa in lui, nel Professore, che nonostante l’aspetto lo rendeva molto rassicurante, paterno, degno di fiducia. 
La coppia lo percepì immediatamente, come se una vibrazione piacevole avesse scosso i loro muscoli irrigiditi dall’orrore provato di fronte agli esseri chiusi nelle teche.
Il Professore porse loro la mano, perfettamente umana, calda e ben fatta, e solo quando vide entrambi rasserenati dal contatto riprese a parlare.
-Permettete che vi offra qualcosa. Siete venuti per la Scelta e questo rende la vostra visita particolarmente gradita. Non sono molti coloro che si pongono le domande che vi siete posti voi, i più agiscono mossi dal mero istinto, dal desiderio o dall’egoismo, senza curarsi di sapere – scandì ancora, quasi con enfasi, l’ultima parola, mentre li guidava verso un tavolino basso, pure di cristallo, sul quale erano posati una brocca colma di un vino color rubino e tre bicchieri.
Il Professore versò il vino per sé e per gli ospiti, che ormai in balia di un senso di fiducia totale accettarono di bere quel liquido profumato, pastoso, con un retrogusto di rosa, che scaldò il loro sangue infondendogli una tranquillità ancora maggiore, quella di chi sa di poter affrontare la verità con serenità di giudizio.
Non parlavano, sapevano che era proibito rivolgere la parola al Professore e che dal momento in cui avessero varcato la soglia di quella casa non avrebbero potuto dire nulla.
Ancora una volta il Professore parlò.
-Immagino il vostro stupore e comprendo il vostro orrore, ma ciò che vedete qui, e il mio stesso aspetto, non rappresentano una realtà attuale, bensì un’ipotesi futura e possibile, la cui realizzazione in parte dipenderà dalla Scelta che voi e pochi altri farete e da quanto saprete condurla in una direzione piuttosto che in un’altra. Questa potrebbe essere la realtà tra qualche decina di anni, se il ritmo col quale l’uomo procede e si evolve resterà quello di oggi.
Non potete giudicarla, anche se vi fa orrore, essa non è né buona né cattiva: è, niente di più. 
Potrebbe anche essere diversa, ma a voi ho deciso di mettere di fronte questa, piuttosto che qualche altra che ho mostrato a giovani come voi, giunti qui per conoscere la verità prima della Scelta. 
Ogni verità è possibile. 
Guardatevi attorno, dunque : questi esseri sono vivi, a voi appaiono mostruosi, ma essi non soffrono e non comprendono il motivo del vostro sgomento. Io stesso, così come mi mostro a voi, sembro terribile, ma per loro non lo sono. Il mio aspetto per loro è consueto, familiare, perfettamente accettabile, persino ideale. 
Il mio aspetto è la proiezione di come questi esseri mi immaginano, simile a loro come loro sono simili a me.–
Il Professore fece una pausa e con un gesto ampio del braccio invitò la coppia a guardarsi attorno.
I due giovani ubbidirono, soffermandosi a lungo su ciascuno degli esseri che prima avevano guardato con orrore e sgomento. 
Il loro sentimento era mutato, alla paura si era sostituita una inspiegabile accettazione senza giudizio. Ogni deformità apparteneva a quegli esseri non più come mostruosa diversità, ma come peculiare caratteristica della loro esistenza.
Dopo aver permesso loro di osservare con attenzione ogni dettaglio delle creature custodite tra le pareti di cristallo, il Professore si rivolse nuovamente ai suoi ospiti:
–Il mondo cambia molto in fretta e l’uomo ha ben imparato ad accelerarne i tempi. Le risorse si stanno esaurendo, si sta modificando il clima e individui simili a voi sono in grado di manipolare geneticamente tutti gli organismi viventi, piante animali ed altri uomini. Dove la natura frappone ostacoli o impone vincoli, l’uomo ha trovato presuntuosi sistemi per aggirarla, alterando in poco tempo ciò che aveva richiesto millenni per trovare un equilibrio. 
Le conseguenze, anche a breve termine, non sono prevedibili, poiché lo sviluppo delle tecniche scientifiche sta portando cambiamenti radicali prima che se ne possano osservare le reazioni sulla natura e sugli esseri viventi. 
La sopravvivenza, tra pochi decenni, sarà dunque affidata alla capacità di adattamento di ciascuno, ma ancora di più alle tecniche che dovranno cercare soluzioni ai problemi che esse stesse hanno generato. Non pensate che l’esperienza accumulata durante la vostra vita potrà ripetersi, o che possa rivelarsi utile se le cose procederanno in questo modo, perché l’esistenza richiederà qualcosa che voi non sapete, non conoscete e non avrete il tempo di sviluppare.–
I due ascoltarono in silenzio quel discorso pronunciato con calma, scandendo ogni parola, soppesandola in modo da renderla perfettamente comprensibile.
-Voi potete, però – proseguì il Professore – impedire che questo accada, forse, se lo volete- e tacque.
La lunga pausa che seguì fece temere ai due giovani che egli avesse concluso il suo discorso, ma infine il Professore riprese, con tono grave.
-Rimane il tempo per cambiare questo corso solo ad un’altra generazione, oltre alla vostra. Da voi e da loro dipenderà tutto, dal vostro e dal loro impegno, ma non sta a me suggerirvi se farlo e come. 
Non è il coraggio quello che vi servirà: il coraggio è solo un eccesso di fatalismo. 
Quella che dovete possedere è la consapevolezza.-
Tacque ancora una volta, definitivamente.
Fece una carezza alla donna, sorridendole coi denti da ratto, posò la mano leggera sulla spalla dell’uomo poi, con un gesto semplice e cortese indicò loro la scala che si apriva sulla parete in fondo al Laboratorio, si voltò e si allontanò, scomparendo dietro all’unica porta.
I due giovani si presero la mano e rivolsero ancora uno sguardo a quei loro simili, pur così diversi, chiusi nelle teche, verso i quali ora non provavano altro che un sincero sentimento di fratellanza.
Si avviarono verso la scala, percorsero una lunga salita e si ritrovarono ad un pianerottolo del tutto identico a quello incontrato lungo il tragitto per entrare nel Laboratorio. 
Le pareti ad angolo, coperte da lunghe tende di seta blu, portavano verso una seconda scala, in discesa, che li fece ritrovare nell’atrio dalla parte opposta a quella dalla quale erano saliti. 
La donna che li aveva accolti li accompagnò verso il portone con delicata gentilezza e li congedò con un sorriso  che fece sfolgorare un repentino raggio di luce nei suoi occhi profondi.
I due giovani uscirono, respirarono e si guardarono con tenerezza.
Spettava a loro, ora, la Scelta di fare o non fare nascere il figlio che la donna portava in grembo.

<Pubblicato su Prospektiva Rivista Letteraria, anno V, n.22>

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