Gentile Signore…
(già mi rendo conto che un simile inizio sarebbe più adatto ad un volantino che pubblicizza una gita ai castelli della Loira, due giorni tutto compreso a 18,99 euro, con relativa vendita di pentole)
Gentile Signore…
(la esse maiuscola forse merita di essere scritta, approfittando della varietà tecnologica, come minimo in un "Algerian" grassetto)
(la esse maiuscola forse merita di essere scritta, approfittando della varietà tecnologica, come minimo in un "Algerian" grassetto)
Gentile Signore,
l'incipit è un po' faticoso, già mi perdo sulle strade secondarie dei miei pensieri e mi scuso in anticipo se non sarò in grado di rivolgermi a Voi come si conviene, ma non essendo inglese pratico il sesso con entusiasmo e non ci azzecco con la seconda persona plurale.
l'incipit è un po' faticoso, già mi perdo sulle strade secondarie dei miei pensieri e mi scuso in anticipo se non sarò in grado di rivolgermi a Voi come si conviene, ma non essendo inglese pratico il sesso con entusiasmo e non ci azzecco con la seconda persona plurale.
Gentile Signore,
rivolgermi alla Vostra eterea nonché pervasiva presenza mi risulta anche ostico data la Vostra triplice essenza, che comporta problemi di grado superiore al dialogare con uno strabico guardandolo negli occhi: vengo purtroppo sopraffatta dall'imbarazzo di non sapere quale occhio, o di fronte a Voi quale Entità, guardare.
Vogliate considerare con benevolenza questa mia, atto di devozione dalla parvenza irriverente, poiché ben sapete che non sono pratica con le preghiere e pur nel dubbio di essere una grafomane, piuttosto che una scrittrice, ho maggiore disinvoltura nell'esporre le mie istanze su un foglio bianco invece che correre il rischio di addentrarmi nei meandri della mia logorrea.
So anche che come minimo Vi sarebbe dovuto il sacrificio di un capretto, che al momento non ho a portata di mano: si potrebbe ovviare immolando il cane, o uno dei gatti, ma ciò farebbe soffrire i bambini, e non credo che, nella Vostra incommensurabile bontà, vogliate le loro lacrime.
In ultimo, ad esaurimento dei preliminari di questo ideale dialogo, di cui Voi, pur tacendo, rappresentate il Sommo Interlocutore, faccio pubblica ammenda per la distrazione e l'incostanza con cui Vi rendo ossequio : questa mia lettera testimonia, senza calpestare il campo minato delle prove ontologiche, che sono mossa comunque da un certo possibilismo, se non da una fede robusta.
Considerato il fatto che ritengo di averVi chiesto ben poche cose nel corso di questa mia vita, vorrei pregarVi ora di rivolgere a me uno sguardo di benevolenza facendomi ritrovare la capacità di ridere, dono che avevo ricevuto al momento della nascita, custodito con cura per anni, poi improvvisamente perduto in un luogo che solo Voi, col Vostro infinito e sottile senso dell'umorismo, potete aver ideato.
Non che la depressione sia stata negativa: i benefici sono stati tali e tanti che posso solo esserVene grata, ma allo stato attuale delle cose sarei francamente un po' stanca, e l'unico a fruire ancora di effetti positivi rispetto a questa faccenda è il cane, che mi accompagna durante lunghe passeggiate nei campi.
Per inciso, il cane stesso è maturato: ora è pienamente consapevole di essere meno veloce di una lepre, pertanto si arrende quasi subito.
Per quanto concerne la mia parte di lavoro, credo di averla svolta ed anche piuttosto benino, ma ora Vi chiedo di darmi una mano, perché mi rendo conto di non essere in grado di andare oltre se non si alleggerisce un po' il peso della carriola che mi è toccata in sorte.
Nella Vostra onnipotenza, se fosse stato questo ciò che volevate da me - io mi dico- mi avreste fatta cavallo.
Se da me Vi aspettavate un atto di umiltà, ora sono qui ad offrirVelo, benché senza breviario, rosario e capo cosparso di cenere, senza ceci sotto le ginocchia e anche se il tono con cui mi rivolgo a Voi potrebbe apparire arrogante.
Ne sono mortificata, non è mia intenzione mancarVi di rispetto: sto solo cercando di mantenere un briciolo di dignità e di mostrarVi che chi si rivolge a Voi non è un individuo strisciante che non ha più nulla da perdere, ma una persona intera che può chinare la testa perché sa tenerla anche alta.
Vorrei ridere: ho versato fiumi, laghi, oceani di lacrime, che sono diventati vapore, nuvole, pioggia e ancora lacrime di un elementare e doloroso ciclo dell'acqua; ora vorrei ridere.
Non appena la depressione me lo ha permesso, ho provato a scrivere il mio viaggio, ma qualcosa non vuole prendere forma, né voce, benché sia evidente che c'è.
Forse dipende dal Karma?
Un'amica visionaria mi ha incontrata per un attimo nelle spoglie del guerriero che sono stata in qualche vita precedente - non fate il finto tonto, non siete così avulso da questo concetto: tenevo la spada sguainata e infliggevo morte inutile, sporcandomi col sangue le vesti preziose, cieca di fronte al dolore.
Nei momenti più cupi sono stata così vicina ad uccidere ancora, che spero mi perdonerete se, scrivendo i miei pensieri o dipingendo mandala, cerco di non usare né il rosso, né il nero.
Pare allora evidente che ridere è ora un bisogno e non uno sciocco desiderio.
Ho lasciato cadere l'idea, che mi affascinava in un primo momento, di ricorrere all'uso di droghe: non ne ho più l'età e mi piace restare cosciente; quanto all'alcool sarebbe piuttosto banale che una persona intelligente, quale io ritengo di essere, sostituisse la perdita di spirito con l'immissione in circolo di etanolo: il dizionario dei sinonimi e contrari va usato cum granu salis.
Non Vi ho chiesto in dono la vacuità, che non ho mai posseduto e che non ambisco a possedere, pur riconoscendo ad essa aspetti di non trascurabile utilità, Vi chiedo solo di rendermi l'ironia, quella punta di spillo che permette di ridere pur continuando a vedere con lucidità; di restituirmi il gioioso senso del teatro, della burla e del grottesco, che mi aiutava a non prendermi troppo sul serio pur senza smettere di credermi; di ridarmi la capacità di tradurre ciò che da buona psicologa riesco a notare intorno a me, in ciò che come cattiva scrittrice mi permette di far ridere me stessa e gli altri.
Vi prego di riconsegnarmi i doni che una volta mi avete fatto, e per i quali ora comprendo di non averVi mai ringraziato abbastanza.
In pratica, Vi chiedo, con tutta la poca umiltà di cui sono capace, di farmi tornare ad essere un po' meno umorale e un po' più umorista.
In fondo noi si lavorava insieme: i demoni, che io per prima conosco, fuggono esorcizzati da una sana risata come in virtù dell'Acqua Santa.
Vogliate dunque, Gentile Signore (considerate pure, in questo vocativo conclusivo, riccamente miniata in foglia oro la esse iniziale del Vostro unico e triplice nome), accogliere questa richiesta, di per sé ragionevole, e restituirmi ciò che mi appartiene entro e non oltre…
No, scusate, questa sarebbe una lettera di preghiera e non una ingiunzione, tuttavia perdonate la raccomandata con ricevuta di ritorno : Voi, nella Vostra onniscienza sapevate che Vi avrei scritto ancor prima che lo sapessi io, ma non metterei una mano sul fuoco per quanto riguarda il Maligno.
Oh, era una battuta?
Avete per caso già provveduto?
<Nel 1998 morì mia sorella, uno dei più grandi amori della mia vita, e nei due anni che seguirono mi ritrovai in piena depressione. Ne sono uscita trasformata, una donna più forte e molto migliore. Questo fu uno dei primi scritti della mia rinascita.>
sublime
RispondiEliminasei sempre grande - maria da torino (che non vuole restare anonima, ma non vuole nemmeno lasciare regalare indirizzi email a motori di ricerca)
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