Per chi ancora non lo conoscesse, premetto che il Truzzo è il mio vicino di casa.
Sarebbe più corretto se scrivessi “è un”, ma posso garantire che quell’articolo determinativo se lo merita tutto.
Fino a quattro anni fa la situazione del vicinato era piuttosto tranquilla, a parte la pazza del piano di sotto che mi minacciava di morte un paio di volte alla settimana e l’agitato di fianco che ogni tanto dà di matto per le scale, poi è arrivato il Truzzo e la situazione è sensibilmente cambiata.
Si è trasferito nell’appartamento dall’altra parte del cortile, quello con la terrazza grande, quello sul quale affaccia la finestra della mia camera da letto.
Lui è al piano rialzato e non può vedere me; io sto al secondo piano e posso vedere tutto quello che fa, anche se non me ne frega niente e ne farei volentieri a meno, ma purtroppo lui mi coinvolge nella sua vita mio malgrado.
Il Truzzo ha una moglie, la Truzza, e un figlio, il Truzzino.
Quando la famigliola si è insediata qui, all’inizio dell’estate di quattro anni fa, avevo totalmente sottovalutato la forza dirompente della loro presenza, imputando tutto il chiasso che hanno fatto alle manovre del trasloco e allo shock da adattamento.
Certo, mi ero resa conto che non si trattava di una giovane coppia radical-chic, ma la mia indole ottimista mi aveva impedito di notare alcuni preoccupanti indicatori che, anche senza voler essere lombrosiana, mi avrebbero dovuta mettere in allarme.
Sì, perché il Truzzo più che un uomo è un archetipo.
Ha un’età indefinita tra i trentacinque e i quarantacinque anni, è bassotto, tarchiato, con le gambe storte, la fronte bassa, il naso aquilino, i capelli lunghi tenuti raccolti con il codino, l’espressione e la postura da homo habilis.
Si esprime in modo -diciamo così- piuttosto schietto, con discorsi essenziali coloriti da grugniti.
Bestemmia a livello olimpionico: anche se non brilla per fantasia, ci mette della potenza, il classico centravanti di sfondamento che sfrutta le doti fisiche più che la classe, e che se tira una saracca non mira all’angolino all’incrocio dei pali, ma dritto al portiere e lo abbatte come una fucilata.
Parla sempre a voce altissima, incurante dell’orario, del pubblico, dell’interlocutore e dell’argomento di cui tratta.
Si veste come ci si immagina si possa vestire un truzzo: pantalone in pelle nera, bomber e scarponi chiodati in inverno; canottiera, pantaloncini e sabot in estate.
Talvolta canottiera anche in inverno, quando in certe belle giornate terse, ma gelide, esce in terrazza sprezzante del freddo e tronfio come un highlander a mostrare l’ascella pezzata.
Non si separa mai dai due accessori indispensabili a un truzzo, cioè il cellulare ipertecnologico e rumorosissimo e, soprattutto, il marsupio in similpelle nera, sotto il quale -ne sono certa- nasconde una terza ascella di riserva.
La moglie, altrettanto truzza, pur essendo un esemplare interessantissimo dal punto di vista antropologico, di fronte allo spessore del Truzzo è evidente che brilla di truzzità riflessa.
Dicevo che all’inizio non mi ero accorta del tipo di personaggio, ma posso invocare come attenuante il fatto che sono solita farmi i fatti miei, perciò ho dato un’occhiata di sfuggita a questi nuovi vicini e non me ne sono preoccupata più di tanto finché non ho sentito la prima telefonata del Truzzo.
Anzitutto la suoneria del cellulare mi è parsa subito un atroce contrappasso: Dune Buggy degli Oliver Onions.
Suonava ogni dieci minuti, a tutte le ore, a volume altissimo, con quell’odioso coretto strombettante che al Truzzo evidentemente piace moltissimo, perché non rispondeva subito neppure se il cellulare ce l’aveva in mano.
È stata una mazzata psicologica.
Era estate, tenevo le finestre aperte e me ne stavo pacificamente in camera a leggere sotto il ventilatore a pale quando ho sentito la prima telefonata.
Io non volevo, lo giuro, ma il Truzzo non parla, grida.
La telefonata suonava più o meno così:
Tuzzo: “ Digli che gli spezzo le ditine”
- Pausa per turno del malcapitato dall’altra parte.
Truzzo: “ Mi ha rotto il [organo erettile maschile], io gli spezzo tutte le ossa, [bestemmia]”
- Pausa per nuovo turno del malcapitato dall’altra parte.
Truzzo: “ Ma [bestemmia], che si...[a seguire una serie di pessimi auguri]
- Presunto tentativo di replica del malcapitato dall’altra parte.
Truzzo. “Vuoi che spezzi le ditine anche a te? [bestemmia, seconda bestemmia, ripetuto due o tre volte tipo ritornello].
Ecco, il tenore della telefonata media era questo.
Se si trattava di fornitori, iniziava apparentemente calmo e finiva in escalation, risparmiando le bestemmie per il dopo telefonata, come si accende una sigaretta per gustarsi il piacere dopo l’amore.
Se si trattava di sua madre, le augurava di affogare ridendo come un pazzo.
Se si trattava dello suocero, alla bestemmia si aggiungevano anche taluni improperi, con tutto che ho poi saputo che la casa gliel’ha comperata lui.
Già, perché il Truzzo non lavora.
Non è disoccupato, nel senso che vorrebbe lavorare, ma purtroppo non può farlo, no: lui non lavora.
Lavora la Truzza, lui sta a casa e si occupa del Truzzino e di grandi opere domestiche.
Da quella prima telefonata, non ho avuto più pace.
Il Truzzo ha invaso il cortile con i suoi schiamazzi, le sue facezie terribili, i suoi dialoghi con la Truzza, le stupidaggini che dice al Truzzino, le sue monumentali opere in terrazza e in giardino, le serate di gran classe con gli amici, dalle quali mi salvo solo tenendo tutto il tempo le cuffie sulle orecchie.
Chi già sa di lui sono certa che sarà ben felice di sapere che una sezione del blog sarà dedicata alle sue mirabolanti avventure, chi non lo conosce sappia che non è finita qui, perché questa è solo la prima puntata della grande epopea del Truzzo: la Truzzeide.
Per ora metabolizzate il ritratto del Truzzo che ho eseguito la scorsa estate, in un momento di particolare ispirazione.
<Trattandosi di opera di fantasia, ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale>
Poi un giorno ti racconteremo di tutti i nostri vicini, abbiamo compilato un breviario... chissà se anche loro fanno uguale, in fondo sarebbe buffo saperlo... Al e Giò
RispondiEliminaAspettavo con ansia l'inizio della saga. Grazie.
RispondiElimina"una terza ascella di riserva" mi ha fatto rotolare al ridere!
RispondiEliminaNon vedo l'ora di leggere le altre puntate, diventerà il mio serial preferito! Un giorno ci racconti anche della matta che ti minacciava di morte? Una domanda: ma non rimpiangi mai quella bellissima villetta a tre piani, con bellissima mansarda, giardino e NIENTE VICINI?
RispondiEliminaPer la verità Matteo, del'altra casa rimpiango soprattutto la grande sala e la mansarda. Lì non avevo vicini truzzi, ma il tizio che abitava di fianco la domenica mattina era solito tagliare l'erba all'alba e quello di fronte trapanava in continuazione. Di molto truzzo c'erano i passerotti: uccellini ipertrofici rumorosissimi che non ci davano pace.
EliminaDi nuovo mi hai fatto morir dal ridere!!! :)
RispondiEliminaAnna M.