mercoledì 6 febbraio 2013

Il dado


Immaginiamo un  grande dado. 
Ogni faccia è costituita da una fotografia di un uomo diverso.
Lanciamo pure il dado, magari facciamoci su anche una puntata: qualunque faccia esca, si perde sempre.
Questo era il mio karma sentimentale.
Quando finisce una relazione si rimane a lungo attaccate in modo ossessivo all’idea di quella persona -sempre l’ultima- anche se razionalmente la si è già demolita in frammenti piccoli come coriandoli. 
Si trascorre il tempo a pensarci, poi a pensare di non volerci più pensare, poi a pensare che non ci si è pensato più di tanto, finché non subentra un’altra persona e si comincia a pensare a quella, almeno fino a quando non si dovrà ricominciare a non volerci più pensare, a pensare di non volerci pensare, a pensare di non averci pensato, e così via.
L’ultimo uomo di ogni serie, quello contingente cioè, è stato inizialmente il traghetto per attraversare la fine della relazione con quello precedente, salvo che la sponda della salvezza non la si è mai raggiunta, ma si è rimaste a bordo di una barca scalcinata, spesso in acque turbolente, talvolta scaricate su un isolotto a metà strada, con a seguito pure il bagaglio affastellato durante tutte le traversate.
Si finisce ben presto nella situazione di chi si trova a contrarre debiti per pagare gli interessi dei debiti stipulati in precedenza, con il solo effetto di accumulare solo interessi passivi senza mai estinguere il capitale.
Per una sorta di horror vacui, sembra che la mente femminile non possa sopravvivere senza avere il pensiero di un uomo che la pervada interamente, e poco importa chi, come o cosa sia o significhi quest’uomo, basta che ce ne sia uno. 
Ho riflettuto a lungo sul mio caso personale, non diverso da quello di quasi tutte le mie amiche, e mi sono detta che un modo per liberarsi del pensiero di un uomo senza sostituirlo con un altro ci doveva essere. 
Così ho pensato all’ultimo e anziché sviscerare il perché fosse finita –del resto palese- attribuendo a lui tutte le colpe e a me tutta la stupidità del mondo, ho spostato l’attenzione su com’era cominciata: ovvio, per farmi traghettare fuori dalla storia precedente. 
Percorrendo a ritroso tutta la strada, anche il precedente era stato a suo tempo un traghetto, così come quello prima.
Uomini che quasi nulla accomuna tra loro e ancor meno accomuna a me.
Come primo passo per liberarmi dall’impiccio dell’ultimo uomo da sradicare dalla mente non mi è sembrato male, ma occorreva qualcosa di più, quantomeno per essere sicura di non ripetere nuovamente lo stesso errore. 
Mi è parso evidente, infatti, che se questa volta non avessi raggiunto la sponda della salvezza con le mie sole forze, mi sarei presto o tardi ritrovata esattamente come ora, solo con una nuova faccia e tutti i relativi momenti legati ad essa da dimenticare
E’ stato grazie ad una serie di conversazioni con amici  e ad una severa pratica buddista che ho avuto l’illuminazione: visto che gli ultimi sei uomini della mia vita avevano avuto tutti la stessa funzione, anziché pensare solo all’ultimo, avrei potuto pensare a tutti insieme, riunendoli in questo dado monoblocco che avrei potuto ruotare a mio piacimento senza che cambiasse assolutamente nulla di ciò che vedevo. 
Insomma, anziché dimenticarne uno, tanto valeva dimenticarli tutti, anche quelli già dimenticati da tempo. 
E mi sono resa conto che si trattava di un monoblocco di coglioni e che la visione di insieme era talmente improbabile da risultare persino comica. 
Ci ho speso anni di sofferenze per questi tizi, mai e poi mai avrei pensato che sarebbe bastato comprimerli in un unico dado per divertirmi a giocare con il loro ricordo. 
Dimenticare ricordando è una pratica innovativa, almeno nella mia vita.
Se tuttavia si trattasse solo di questo,vedrei solo una galleria di errori e ci sarebbe poco da scherzarci su. 
In verità è molto di più: anzitutto mi sono resa conto che la loro perfetta intercambiabilità, la totale indifferenza che deriva dal ragionare di uno piuttosto che di un altro, evidenzia infallibilmente un radicato problema mio e che loro non hanno nessuna colpa di essere coglioni, al più è un accidente della loro vita che non mi riguarda minimamente, ma non solo ora, che non fanno più parte della mia, bensì anche quando ero convintissima di amarli con tutta me stessa.
Non mi riguarda, né mi riguardava, perché come costoro fossero in realtà era una questione che non mi sono mai posta. Vedevo qualche dettaglio più o meno attraente, individuavo qualche interesse comune, sottolineavo qualche pregio spesso inesistente come se si fosse trattato di una rarità, ed ecco che avevo fatto del barcone scalcinato sul quale ero salita un lussuoso panfilo, che mi avrebbe portata a navigare nelle acque cristalline della felicità perfetta. Tutto da sola, loro ci hanno messo a malapena la faccia. Quando diventava lampante il mio abbaglio, allora scattava l’accanimento per trasformarli nelle persone che io avevo immaginato che fossero e se, a onor del vero, alcuni di loro hanno mistificato fin dall’inizio un’identità del tutto inventata, diciamo che io ho fatto la mia parte per assecondarli, a dispetto di ogni evidenza.
Ben lungi dall’essere mai riuscita a cambiare una virgola in loro, in compenso mi sono trasformata io, temporaneamente e a seconda dei casi, in ciò che non sono, lungo una linea schizoide che andava dalla più paziente delle donne sagge, alla più collerica delle donne nevrotiche, dando comunque sempre il peggio di me. 
A guardarmi alle spalle io stessa mi considererei una pazza furiosa, se non fossi certa di non esserlo e se non avessi conferma di ciò anche da parte di amici e parenti: originale sì, ma pazza no.
Questo per dire che non sono lo stereotipo della single di ritorno, amareggiata con gli uomini, che attribuisce all’intera categoria le peggio abiezioni. Sono certa che ci siano uomini deliziosi, e che probabilmente ne incontrerò uno anch’io. Ho avuto un uomo meraviglioso al mio fianco per tredici anni, e sono stata io a commettere le peggio sciocchezze per rovinare tutto. 
In tutta questa faccenda, lo ripeto, sono io quella che ha sbagliato, loro non hanno fatto nulla di più che essere i coglioni che sono per naturale inclinazione. 
Certo che ora ci rido. 
Guardandoli tutti assemblati nel mio dado formano un quadro d’insieme mal assortito e si completano a vicenda, poiché nessuno di loro avrebbe avuto senso se non ci fosse stato un altro prima e, ciò è davvero divertente, nessuno di loro avrebbe mai avuto un senso per me, né tantomeno ne ha ora, anche se a vederla così sembra di non rendere giustizia a uomini con i quali ho avuto anche relazioni lunghe, importanti, a tratti belle. 
Del resto era anche manifesto che si trattasse di coglioni, perché nelle condizioni in cui mi trovavo ogni volta che ne ho incontrato uno, non avrei mai potuto attrarre un uomo che non lo fosse. Chi non era coglione, infatti, non si sarebbe mai lasciato usare come traghetto prima, né avrebbe mai usato me come mozzo, o rematore, o strofinaccio per pulire il ponte poi. 
Quando i barconi scalcinati che io credevo panfili eccetera si rivelavano per ciò che in realtà erano, mi trovavo sempre già in alto mare, con l’irrinunciabile missione di guidarli io in un porto sicuro, benché fossero a volte fuori rotta, o pieni di falle da rattoppare prima che imbarcassero acqua e andassero a fondo. 
Sa il cielo quanto ho remato. Sempre naufraga.
Loro erano coglioni, va bene, ma io peggio.
Quindi non sono arrabbiata con loro, al più con me stessa. A dire il vero non sono più neppure arrabbiata con me stessa: sono stata sciocca, ho fatto l’unica cosa che sapevo fare, ho agito per collera, orgoglio, desiderio di rivalsa, paura della solitudine, ma ho pagato gli errori ed ho imparato. 
Come questi sei abbiano finito per avere importanza per me non lo so. 
La prima discriminante è sempre stata il fatto di amare la stessa musica, ma per quanto sia la mia più grande passione, ora mi sembra un po’ debole come base per un rapporto sentimentale. 
Non posso dire neanche di essere stata colpita da particolari caratteristiche fisiche, o doti intellettuali, o abilità amatorie comuni: non si assomigliano tra loro, se non nel modo banale in base al quale si può essere ugualmente colti o intelligenti così come si hanno un solo naso e due orecchie. 
In un uomo per me è indispensabile il senso dell’umorismo, eppure con alcuni di loro ho glissato con eleganza sulla sua assenza. 
Mi piacciono le persone ben educate, eppure almeno un paio di facce del dado erano piuttosto imbarazzanti. 
Certo non posso dire che fossero formidabili amanti, a parte i primi due -guarda caso quelli con i quali è durata di più- anzi, un paio erano praticamente inutili.
Insomma, non lo so. 
So che certamente una scrematura c’è stata, altrimenti le sei facce di un solo dado non mi basterebbero. 
Nel mio totale smarrimento, e seppur nella difficoltà di riconoscere i sentimenti e di collocarli nel loro giusto posto, credo di aver usato una certa sistematicità nel non prendere neppure in considerazione gli altri corteggiatori che mi avrebbero traghettata volentieri, forse perché si trattava di modelli di coglioni così vistosamente riconoscibili, che neppure negli stati confusionali in cui mi sono trovata ciclicamente avrei potuto fingere di non averlo notato.
C’è comunque stato un metodo, preciso e spietato, di demolire me stessa. 
Ho ignorato ogni avvertimento del mio sistema di allarme ed ho zittito ogni voce interiore, ma quel che è peggio ho sopportato umiliazioni di tutti i generi con la pretesa di risultare per questo così ammantata di nobiltà da apparire agli occhi di questi coglioni come un angelo. 
Insomma, non ho rispettato nulla di me e preteso che mi rispettassero loro, ho mascherato da delirio di onnipotenza la mia insicurezza, mi sono adattata a ciascuno di loro fino a rendermi uno zerbino, con il risultato di essere calpestata e, laddove l’ho fatto rilevare, ho potuto leggere sul viso di ogni coglione solo la più innocente incredulità.
Forse, con il tempo, un barlume di vergogna è affiorato anche nell’animo di qualcuno, ma così irrilevante da essere scacciato in un attimo, specie perché ciascuno di loro mi ha molto facilmente sostituita con un’altra donna inconsapevolmente in fase autolesionista, certamente più angelica e certamente più disponibile a fare da zerbino.
Perché alla fine, in un modo o nell’altro me ne sono liberata. 
Sì, certo, ho fatto il mio bel percorso di cazzate, eppure sono intera e ben decisa a non ripetermi, mai più.
Questo giro ho nuotato fino alla sponda, da sola.
Per questo mi concedo il lusso di raccontarli e di dimenticarli tutti insieme, questi uomini che mi hanno fatta piangere e che ora mi fanno ridere.


2 commenti:

  1. su, pensa che ci sono anche i dadi a venti facce :-)

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    1. Mioddio no, non sono così autolesionista! Sono zuccona, ma alla lunga imparo e ora mi voglio troppo bene per prendere a mano certi ruschi. Ho scoperto di saper nuotare benissimo e l'incanto di certe traversate in solitaria.

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