mercoledì 2 gennaio 2013

Collezionismo


I collezionisti sono compulsivi, si sa.
Sono anche molto pazienti. 
Sono certamente curiosi.
Godono - a torto- di pessima fama, sia nella psicanalisi che nella letteratura.
E’ vero che sono dei solitari, a tratti monomaniaci, inclini a ritirarsi nella loro passione, ma allo stesso tempo sono desiderosi di condividerla, perché l’euforia di ogni nuova scoperta, o della riscoperta di qualche pezzo che si possiede da tempo, è tale da non poter essere contenuta.
Il desiderio di mostrare ad altri ogni nuovo trofeo di valore è autentico e generoso: non nasce da bisogno di ostentare un successo, né dal tentativo di suscitare ammirazione, né tantomeno da un senso di superiorità che si vuole sbandierare, talvolta per nascondere il contrario di tutto questo.
No, è proprio un atto di amore, in primo luogo verso il pezzo della collezione che si è rivelato in tutto il suo splendore, in subordine verso i destinatari della rivelazione, persone evidentemente meritevoli di quella stima che fa pensare che saranno in grado di apprezzarlo e di entusiasmarsi altrettanto.
La felicità del collezionista è tale da risultare impensabile, dal suo punto di vista, che esista qualcuno che non gioisca altrettanto delle sue scoperte, perciò se nessuno se lo fila, come quasi sempre accade, ci rimane malissimo.
In ogni caso non si smonta, dimentica l’ingratitudine e certamente verrà preso ben presto da un nuovo, incontenibile stato di esaltazione, che dovrà assolutamente condividere.
Il collezionista si ripromette di darsi una calmata praticamente ogni giorno, ma dimentica questo proposito ancora più spesso, gli basta una minima scintilla per dar fuoco alla miccia della ricerca continua, della curiosità insaziabile, del bisogno di trovare qualcosa che gli alzerà il livello di adrenalina e gli permetterà di abbandonarsi ancora a quella impagabile sensazione di essere stato investito, travolto e totalmente catturato da qualcosa che ritiene bellissimo. 
Il collezionista è una persona che ricerca emozioni.
Certo, è difficile pensare che ci si possa emozionare con un francobollo, o con un sottobicchiere da birra, o con un magnete da frigorifero, eppure al collezionista accade e bisogna considerarlo un privilegiato.
Nel mio caso sono privilegiata due volte: io, infatti, colleziono musica.
Quando cominciai, quarant’anni fa, non ero propriamente una pioniera, ma certamente una figlia della mia generazione, una che si giocava le paghette in vinili, o che registrava su cassette i dischi degli amici, scambiando con loro tutto quello che si poteva e che sarebbe stato altrimenti proibitivo acquistare.
Registrare i nastri era una faccenda scomodissima: ci si metteva esattamente il tempo del disco, le cassette si rovinavano, si sbobinavano con niente e per trovare un pezzo bisognava diventare abilissimi con i tasti di avanzamento/avvolgimento veloce, magari segnandosi il minuto esatto dell’inizio e mantenendo il sangue freddo quando lo si mancava sempre di qualche millimetro in più o in meno. Era abbastanza snervante, ma eravamo gente animata dalla passione e con il tempo ci siamo temprati.
Per incidere su nastro una compilation ci si poteva impiegare due giorni.
I vinili, dal canto loro, benché dotati di un calore e una pastosità irripetibile, con il tempo si segnavano e cominciavano a frusciare, benché venissero custoditi con religiosa cura. Non tutti possedevano impianti sofisticati quel tanto da trattare i solchi con la gentilezza che avrebbero meritato; la maggior parte di noi, al contrario, aveva dei giradischi con puntine garbate come zappe.
Il passaggio dal vinile ai CD ci parve rivoluzionario, anche se all’inizio i costi non erano affrontabili, sia per un impianto decente, sia per i dischi stessi.
Quando con i primi pc si cominciò a intravedere la possibilità di masterizzare - che altro non era se non il procedimento più evoluto della registrazione delle cassette- si dischiuse un mondo di possibilità che non avremmo mai osato neppure immaginare.
E non avevamo ancora visto niente.
In ogni caso, al di là dei costi, investire in CD era comunque interessante: si aveva la certezza che il tempo non li avrebbe alterati, occupavano meno spazio rispetto ai vinili, garantivano una purezza del suono che non avevamo mai sentito, pur con impianti di media qualità.
In più, almeno per quanto mi riguarda, c’era tutto il piacere della riscoperta di album che non avevo più ascoltato da anni e anni, visto che i vinili li avevo lasciati tutti a mio fratello, per salvarli dalla potenziale furia distruttrice di due cani, due figli  e svariati gatti.
Il primo disco che ho ricomperato su CD è stato In The Court of The Crimson King dei King Crimson: eravamo agli inizi degli anni Novanta.
Negli anni successivi ho ricostruito quasi tutta la mia discografia originale, prima seguendo la memoria e la pancia, partendo dai pezzi più scontati.
Poi la febbre da collezionista ha preso la forma di un preciso progetto e mi sono procurata un elenco ragionato, una sorta di Bibbia, un dizionario del pop/rock di più di mille pagine, che analizza disco per disco quasi tutta la produzione di più di mezzo secolo. Ho scoperto cose pazzesche, che non avevo mai ascoltato a suo tempo, o di cui avevo perso la memoria.
Più comperavo dischi, più ne avrei comperati. 
Si è cominciato ben presto a presentare il problema della catalogazione e della sistemazione sugli scaffali della libreria: in ordine alfabetico, per provenienza geografica, per genere, per periodo?
Scaffali stipati in doppio strato, libri che sparivano per lasciare posto, poi un’intera libreria solo per dischi. 
Con i figli che crescevano e alcuni loro amici,  collezionisti in nuce, che venivano in pellegrinaggio, ammessi al santuario al solo patto di estrarre dagli scaffali un disco alla volta e rimetterlo a posto subito al termine dell’ascolto. 
Neanche una biblioteca domenicana aveva regole così rigide.  

Nel frattempo la tecnologia ha cominciato a mettere a disposizione una gran quantità di sistemi per stoccare la musica, per trovarla, per scambiarla, per poterla ascoltare, per portarsela in giro con leggerezza.
Mica come il walkman a cassette, o il lettore portatile di CD, che costringevano a destinare uno zaino intero alla musica ogni volta che si faceva una gita.
YouTube, iTunes, Amazon, Dropbox, Torrent costituiscono la morte sociale di un collezionista di musica: si trova tutto, si può ascoltare tutto, si può condividere tutto, si compera di tutto, semplicemente con la carta di credito,  a costi abbordabili, comodamente seduti alla scrivania, senza alcun ingombro, se non quello di un hard disk -meglio se esterno- che con il tempo diventa ipertrofico: prima bastavano 250 Gb, ora si ragiona in TB.
Senza muoversi da casa, senza avere il tempo neanche di ascoltare con attenzione tutto.
Se vengono gli amici collezionisti a trovarti, sono muniti di chiavette USB, HD, computer. 
Tutto l’armamentario viene sfoderato sul tavolo, scambiato, discusso, ascoltato insieme, in un susseguirsi di consigli e indignazioni: “Ma come, non hai mai ascoltato...?”
Ne seguono nomi sconosciuti ai più, prelibatezze da iniziati, gruppi che vengono dai posti più lontani e un tempo più alieni a certi circuiti di diffusione musicale: Islanda, Polonia, Norvegia, Armenia, o progetti di nuovi guru che il grande pubblico non ha mai neppure sentito nominare.


Negli anni Settanta ci sembravano già estremamente esotici i tedeschi.
Eppure ci sono cose splendide, non è possibile che qualcuno non le conosca, o non le apprezzi. 
E allora via, con la condivisione, sui social network, sul cellulare, via mail.
Il collezionista di musica è tuttavia soggetto a due fenomeni opposti, ma di identica intensità: la mania e la depressione musicale, una sorta di disturbo bipolare del musicofilo.
La mania prende ciclicamente, quando si scopre, o si riscopre, in mezzo alla folla di nomi e dischi rigorosamente catalogati sul computer, con tanto di immagini delle copertine, informazioni di vario tipo e rating, qualcosa che non era stato ascoltato con la dovuta attenzione, o che non si ascoltava più da tempo.
In questi casi si viene presi da un vortice totalizzante: si ascolta solo quello per giorni, a volte per settimane, nella incrollabile convinzione che non si possa trovare di meglio, che non ci sia mai stato di meglio, né che mai ce ne sarà, o che, comunque, la nostra vita in questo preciso momento non abbia bisogno di ascoltare altro.
Si cercano gli amici collezionisti per tentare di coinvolgerli -quasi sempre senza alcun successo, visto che probabilmente sono a loro volta posseduti dal loro demone del momento- o le persone che si ritiene potrebbero apprezzare, e si arriva in molti casi a recare un autentico tormento, o meglio una solenne rottura di palle, magnificando le doti di ciò che si sta ascoltando, con fervore da invasati, sguardo febbrile e/o trasognato, leggera schiuma agli angoli della bocca.
Le manie sono quasi sempre legate in modo ricorrente a particolari artisti, ma  conservano un aspetto imprevedibile e a volte riguardano nuove scoperte. Questi ultimi casi sono i più pericolosi, perché alla smania di condivisione si somma anche una perniciosa tendenza all’evangelizzazione.
Ai periodi di furore maniacale si alternano momenti- per fortuna rari- di insofferenza: allora si scorre tutta la libreria del computer in cerca di un’ispirazione, che non arriva. 
Le ragioni sono inspiegabili, ma la più probabile è una sorta di saturazione, un’overdose a cui segue il collasso.
All’inizio ci si prova ad ascoltare qualcosa e ci si illude, di quando in quando, di aver trovato ciò che ci rispecchia in quel momento, ma tutto diventa insopportabile dopo poche note, nulla pare poter emozionare e ci si ritrova a pensare di avere passato anni ad immagazzinare una quantità spropositata di Gb di noia.
Un collezionista di musica in stato di depressione è qualcosa che fa male al cuore. 
Con il peggiorare dei sintomi, si aggira per casa incapace di qualsivoglia ideazione o iniziativa, passa davanti alla libreria, guarda i dischi, ne estrae qualcuno a caso e lo accarezza nella speranza di trarre giovamento dal contatto, ma al solo pensiero di ascoltare qualcosa prova un senso di nausea.
Si può restare anche giorni in questo stato pietoso, si arriva persino a dimenticare a casa l’ iPod, tale è lo stordimento.
E’ come se il Nulla entrasse da uno spiraglio della vita e la invadesse, la divorasse, la costringesse al silenzio, privandola dei colori.
Un collezionista di musica che non ascolta musica è un involucro vuoto, privato delle sue emozioni.
In questi casi l’unica possibile strategia è un defibrillatore.
Ci sono brani, o artisti che per ciascuno di noi svolgono questa funzione, bisogna solo imparare a riconoscerli e tenerli a portata di mano, come salvavita, e quando la situazione diventa drammatica, farsi violenza e usarli.
Io, per esempio, ho i Traffic, i Led Zeppelin e i Clash.
“Uno, due, tre... libera!”
Mister Fantasy.
Funziona, sempre.
A poco a poco la vita comincia a rifluire.
La gioia è tale che per un paio di giorni si va in giro con il defibrillatore attaccato, finché non avviene una stabilizzazione e si ricomincia, in totale serenità, una fase di pacifica ricerca, preludio quasi sempre di una nuova fase maniacale.
La ricerca è l’aspetto più divertente del collezionismo, cercare è persino meglio di trovare.
Una volta ci si passava i consigli tra amici, si leggevano le riviste specializzate - negli anni Settanta il meraviglioso Ciao 2001- si ascoltavano i dischi da chi li aveva, o dalle poche radio che li trasmettevano. Poi, dopo lunga ponderazione, se il disco valeva la pena, lo si comperava.
Ora è facilissimo ascoltare anche dischi usciti da un quarto d’ora.
Nella stragrande maggioranza dei casi c’è chi carica subito i brani su YouTube, a volte sono gli artisti stessi, che ben sanno della portata mondiale del web, che fanno uscire un demo ancor prima del disco.
Quindi, basta usare alcune semplici strategie di navigazione.
Mettiamo che un amico posti un video di YouTube sulla pagina di un social network. Lo ascolto, non mi entusiasma, però sulla barra laterale compaiono una serie di video correlati in qualche modo con quello non entusiasmante. 
Si va a curiosare e capita di trovare qualcosa di interessante.
Allora si va a cercare la discografia di quelli, si ascolta, si valuta.
Se non piace la si dimentica, ma se piace si va su Amazon, o sullo store di Apple e si va a guardare cos’hanno comperato quelli che hanno preso il disco che ci sta piacendo. Ne escono decine di suggerimenti, con i quali è possibile ricominciare il percorso. 
E’ facilissimo.
Oppure si vanno a cercare le classifiche dei migliori dischi del genere che ci interessa e si procede poi allo stesso modo.
Le cose migliori degli ultimi due anni le ho scoperte così, folgorata da gruppi di sconosciuti ragazzini olandesi bravissimi, come da oscuri cantautori, o da poco pubblicizzati progetti collaterali di musicisti già famosi, solo perché consigliati da gente che ha comperato un disco che ho comperato anch’io.
Percorsi tra le pieghe del web che a volte richiedono tre, quattro passaggi prima di arrivare ad una buona traccia, ma che portano sempre a qualcosa che, da collezionista quale sono, non mi sarei potuta perdere per nessuna ragione al mondo.
Occorre anche molto tempo, è vero.
Ma da quando ho cominciato sono passati quarant’anni, esco poco, la televisione non la guardo quasi mai, vado a letto presto solo se mi devo svegliare all’alba e sbrigo tutte le faccende con le cuffie nelle orecchie.
Ho anche l’orecchio molto allenato a riconoscere quello che mi può piacere e se qualcosa mi sfugge al primo ascolto, è perché il destino mi riserva di riscoprire dopo qualche tempo il genere di meraviglie che si celavano nella mia libreria.
Nonostante tutto, però, mi ci vorrebbero almeno tre anni di ascolti per almeno tre o quattro ore al giorno per venire a capo di tutto quello che vorrei ascoltare, e se nel frattempo non uscisse nulla di nuovo e di interessante.
Quindi, come ogni collezionista, sono sempre a rincorrere qualcosa che non afferrerò mai del tutto.
Ma forse il gusto è proprio questo, l’avere davanti un panorama infinito, averne altrettanto alle spalle, combattere con le ciclicità dell’umore e non  volersi fermare.
Se divento sorda, abbattetemi.



3 commenti:

  1. Capisco (e compatisco) chi è preso dal demone della droga del collezionismo: però personalmente non mi son mai lasciata andare ad alcun tipo di dipendenza -tabacco, alcool, enigmistica - (perfino con il cioccolato osservo di tanto in tanto periodi di disintossicazione per non lasciarmi prendere dalle sue spire). Ma certamente tra tutte le possibili "droghe" la musica è quella che mi attira di più (generi diversi da quelli che piacciono a te).

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    1. In effetti Bruna, la musica diventa una droga, ma per fortuna è una buona cosa, fa bene al cuore, emoziona, diverte.
      In realtà quella che io chiamo *collezionismo* è solo una grande e inesauribile passione!

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  2. non mi era accorta prima d'ora (e questo è grave) di queste riflessioni musicali massariniamente precise ma profondamente bottoniane... perché, giusto per riprendere la mano, non scrivi una recensione di "Relayer" ?
    Buonanotte e brano suggerito "Siberian Kathru", Yes naturalmente.

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