Come Pollicino, lascio sui miei passi briciole di pane perché guidino il mio ritorno a casa, ben sapendo, tuttavia, che i passerotti le mangeranno ed io mi perderò.
La mia casa è il centro di una ragnatela di rapporti, bisogni, opportunità, ma potrebbe anche essere altrove senza cambiare nulla. Non le appartengo, non provo per i luoghi in cui sono nata e cresciuta un amore particolare, forse perché non sono nata e cresciuta in un solo luogo: io sono in viaggio.
Da sempre vivo in viaggio, con gli occhi affascinati dalle cartine dell’atlante, con l’immaginazione che crea allegorie della mia irrequietezza, in mezzo ad uno stormo di uccelli migratori, coi sensi allertati da brevi istanti altrove, e sia benedetta la vita che mi ha donato la curiosità, e la fame, e la sete, che non si placano mai, portandomi ancora più lontana anche quando sono già lontana.
Appartengo alla strada, spirito zingaro, vivo tra le anse dei fiumi, affacciata sulle sinuose geometrie delle coste, nel silenzio immenso delle montagne, papavero tra il grano delle pianure, nebbia prima del tramonto sull’oceano, fragore magnetico di una cascata.
Abito dietro le finestre bordate di azulejos, nell’intimità intuita attraverso il leggero tessuto di una tenda, appendo ad ogni balcone di ferro battuto una vita e una storia.
Di fronte al mare sono biologa, cernia, corallo e onda; nella savana, elegante guerriero Masai, giraffa che corre dondolando il magnifico collo, silenziosa leonessa del Serengeti che frusta l’aria con la coda, lago rosa di fenicotteri.
Aquila sulle montagne, ma anche condor, ara colorata nelle foreste pluviali, colibrì sovrano di un minuscolo mondo, grido di gabbiano in volo nel cielo di ogni porto.
Attraverso la storia nelle cattedrali e nei castelli, e sono pellegrino, cavaliere, o serva della gleba che dissoda la terra con le mani, ed anche la meraviglia del bambino che osserva sapienti scalpelli scolpire rosoni e portali.
Sono il gioco gioioso delle scimmie tra le pagode indiane, appartengo al suono di una preghiera, che fa vibrare di energia liberata lo stesso corpo nutrito con burro di yak.
Ritrovo le mie forme barocche sulle tele di Rubens, i miei umori nel cielo della Delft di Vermeer che mi viene incontro, i miei spettri tra i corvi di Van Gogh, la mia etica ferita dalla Storia nel Guernica, come nel martirio di San Sebastiano di Mantegna.
Respiro i muri di Praga misteriosa, di Lisbona dolente, di San Pietroburgo avvolta nei fasti.
Quanti oceani ho solcato con la fantasia clandestina, quante guerre, quanti amori, quanti orrori impregnano le pietre di ogni collina, di ogni bastione, di ogni umile, regale o divina dimora.
Quanta vita ho vissuto in ogni viaggio.
A questo appartengo, senza patria e senza tempo, senza specie o sesso, pulsante di sangue o tonante di tempesta, sono gioia, rabbia, passione e saudade, sono parto di perenne stupore.
Chiusa in un corpo, prigioniera di un numero limitato di giorni, sono libera.
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