sabato 5 gennaio 2013

Apologia del congiuntivo


Nel mio lavoro sono costretta a lottare quotidianamente contro l’inconsapevolezza linguistica delle nuove generazioni, lotta impari di per sé, poiché contestualizzata in un’epoca di acronimi, abbreviazioni e informalità, per non parlare dei media, che brutalizzano la lingua in modo spregiudicato.
Non voglio parlare di grammatica, benché possieda un fascino tutto suo, ma vorrei invece discutere della “filosofia” che si cela in ogni lingua e condividere la mia accorata difesa del congiuntivo e della sua ineffabile bellezza, a prescindere dai significanti e dalle loro rigorose flessioni.
Un po’ per celia, un po’ per non morir…

Si dice che l’indicativo sia il modo della certezza, quello attraverso il quale si esprimono affermazioni che non lasciano margine a dubbi o supposizioni. 
Non posso, né voglio dubitarne, ma mi permetto di considerarlo un modo un po’ didascalico di prendere atto di ciò che è accaduto nella varia distanza del passato, o che sta accadendo nel presente. Sul futuro avrei invece parecchio da opinare, perché se è vero che all’indicativo affermo con sicurezza, mi sembra paradossale, nonché pretenzioso, non solo avere due futuri, ma soprattutto esprimere con tale monolitica certezza qualcosa che ha da venire, senza mostrare il benché minimo possibilismo rispetto alla solita eventuale tegola che potrebbe sovvertire i nostri futuri, per quanto anteriori.

Il condizionale pecca di umiltà pelosa, non fa niente per niente, è cortese al limite del lezioso, ma in realtà è veramente cinico, o forse solo molto realista. 
Che sia frutto di esperienza di vita, o semplicemente di scaramanzia, l’uso del condizionale è purtroppo necessario e questo lui lo sa, perciò pone sempre paletti, spesso insormontabili. 
Chi non ha viaggiato nel tempo e nello spazio a cavallo di un condizionale? Chi non è stato altro da sé, più bello, più ricco, più tutto, deformandosi riflesso nel suo specchio? 

Se non altro il condizionale ha buon gusto, quello che manca all’imperativo, che nonostante i “per favore” non riesce a mascherare la sua supponenza, la sua abitudine alla gerarchia. Tant’è che non prevede che si diano ordini a noi stessi, se non con uno sdoppiamento schizoide che ci porta a essere al contempo prima e seconda persona – e mi riferisco solo al singolare, perché se ci si imperasse alla prima e seconda persona plurale si tratterebbe di delirio di onnipotenza. 
Talvolta la necessità di ristabilire un ordine o di interporre una distanza di ruolo, impone l’imperativo, ma ora se ne fa un uso troppo amichevole, che penalizza le forme di cortesia.

Non parliamo dei modi indefiniti, per natura vaghi, freddi, impersonali, tra i quali il più odioso è certamente il participio, che si fa bello nei tempi composti di porre solo la sua firma, lasciando il lavoro sporco ai poveri ausiliari, che a forza di flettersi per tutti avranno l’artrosi. Arriva lui, il participio, un bellimbusto che al massimo si lascia aggettivare, con il suo presenzialismo irritante, e dà il significato all’azione: davvero non c’è giustizia. 
L’infinito è infingardo, si fa forza dell’essere la forma base e non si preoccupa affatto di sovvertire ogni possibile previsione di coniugazione dei verbi irregolari o difettivi. Il suo ruolo primario sarebbe quello di fornire una radice, ma ha velleità classicheggianti e inganna. Un brutto individuo.
Il gerundio, poveretto: in un certo senso mi fa pena, viene sempre bacchettato dai correttori automatici e dai manuali del bel dire, accusato di ridondanza, pesantezza, bizantinismo.

Ma veniamo al congiuntivo, l’oggetto della mia passione, il modo del dubbio.
Anzitutto è il modo delle ipotesi, realizzabili oppure ormai relegate nel mondo dell’impossibilità, ma anche in questo secondo caso, dove andrebbero la ricerca e la scienza senza ipotesi? 
Se è vero, come credo sia, e come diceva Einstein, che sono le ipotesi a determinare ciò che dobbiamo osservare, quale progresso sarebbe stato possibile senza congiuntivi?
Il congiuntivo è poi il modo dei desideri, anche di quelli così distanti da diventare sogni o illusioni, ma stimola la fantasia, ci porta dove è possibile tutto e il contrario di tutto, dove si può nominare ogni nostro più intimo segreto. Come potremmo desiderare senza congiuntivi?
Il congiuntivo è soprattutto il modo del dubbio, quello che ci permette di metterci in discussione, di porci le domande e cercare le risposte da angolazioni diverse, non dal semplice punto di vista oggettivo dell’indicativo, non da quello vincolante del condizionale, non da quello prescrittivo dell’imperativo. 
E’ maieutico, ci guida attraverso un percorso di conoscenza di noi stessi e del mondo tenendoci per mano e ponendo le giuste domande, le sole in grado di portarci alle giuste risposte. 
Possiamo conoscere senza dubitare? E possiamo dubitare senza congiuntivo?
In ultimo è elegante, permette un fluire morbido di discorsi e pensieri che, in sua assenza, risulterebbero stridenti se non addirittura barocchi. 
E’imprescindibile, se vogliamo capirci e farci capire, se vogliamo mostrare i nostri limiti e i nostri punti di forza, se vogliamo evitare l’arroganza e la falsa umiltà, se vogliamo comunicare consapevolmente, ben sapendo che la forma è il biglietto da visita che consente l’accesso alla sostanza.

(Questo è solo un piccolo gioco da bambina che ama smontare e rimontare la lingua come i mattoncini del Lego, ma c’è tanto amore, quello che mi è venuto da una lunga, assidua ed intensa frequentazione con l’Italiano, lingua della quale vorrei non andasse perduta l’armoniosa bellezza)



6 commenti:

  1. ma davvero c'è tutto questo dietro alla lingua italiana? ora capisco perché i miei alunni la usano tanto poco!
    Una volta solevo dire loro. "Non sono sicura che imparerete la mia materia, ma sono certa che a fine anno parlerò correntemente il vostro dialetto". :(
    Ora non parlo più. Mi limito a rispondere nella loro lingua e loro si fanno un sacco si risate (si vede che ho un apprendimento lento).

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  2. Questo post è semplicemente un capolavoro!

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  3. Bello ,che io sia dannato se questo post non è da considerarsi eccellente. Certo sarebbe bello fosse eccellentissimo, ma basta, non esageriamo, occorre andare avanti

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  4. Come si usa comportarsi in questi casi? Sono nuova nel mondo dei Blog e, sinceramente non so cosa suggerisce la netiquette.
    Nel dubbio, ringrazio dell'attenzione che mi avete dedicato e arrossisco per i complimenti.

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  5. Condivido: sicuramente un capolavoro!
    Brava!

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