venerdì 28 dicembre 2012

Di cibo

Non penserete mica che io intenda postare ricette?
Quelle, al massimo, le divulgo a una stretta cerchia di amici intimi che certamente non le inflazioneranno. 
Se dovessi mai rendere pubbliche le ricette di certe mie specialità, farei come la mia nonna paterna, gran signora borghese abituata a ricevere in salotto: le trasmetterei sbagliate.
Non sbagliate in modo grossolano, ma semplicemente tralasciando qualche piccolo dettaglio in modo da non farle riuscire allo stesso modo, ma non così male da far sospettare di me.
E dire che quando cucino non sono affatto animata dallo spirito del grande chef, non me ne frega niente della ricerca, dell'innovazione, o di travestire da Monna Lisa una carota, deponendola con il suo enigmatico sorriso su un desolato paesaggio di creme di rafano e lacrime di aceto balsamico.
Io cucino quello che amo mangiare, cibi molto tradizionali, spesso semplici, se non poveri.
Se mi chiedete di scegliere tra un ristorante a tante stelle e una trattoria, scelgo la seconda, perché non amo i francesismi nel piatto e non so resistere al friggione.
Amo cucinare perché sono golosa e mi piace vedere mangiare le persone che amo.
Cucino perché sono una creativa dispersiva e sensuale, perché se penso alla bellezza di una donna, vedo la mia nonna materna che frigge i crescioni romagnoli, o la mamma che a mezzogiorno e mezzo tira la sfoglia per le tagliatelle che mangeremo all'una.
Cucino perché mentre lo faccio loro sono lì, con me, anche se non ci sono più da tanto tempo.
E quando porto in tavola qualcosa di buono, sto in ansia, come le nonne e la mamma, e aspetto i complimenti, o di vedere dei sorrisi.
Cucino e mangio, di gusto.
Perciò di cibo, di gusto e di gioia.








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