lunedì 18 marzo 2013

The Art Museum of Riccione


La scelta di una casa per la villeggiatura a Riccione richiede una consumata abilità. 
I riccionesi spesso affittano la propria abitazione, ritirandosi durante l'estate a vivere in cinque o sei persone in un garage, o in minuscole depandances. 
Esistono case invece destinate unicamente alla villeggiatura dei forestieri, e sono quelle che devono essere ricercate: bisogna diffidare da chi propone appartamenti con arredi nuovi, robaccia da mercatoni, coi cassetti che cadono sui piedi ogni volta che vengono aperti con foga, ma cercare case vecchie, con mobilio di recupero. 
Gli arredamenti di queste abitazioni erano già di recupero negli anni Sessanta e Settanta, e ciò che accade frequentemente, e che costituisce il pregio di una casa per la villeggiatura a Riccione, è di trovarsi intorno pezzi di modernariato, mobili degli anni Venti, già orribili allora. 
Eppure, questi arredi, che dovevano essere di pessima qualità già all'epoca del loro acquisto, si rivelano meravigliosamente funzionali nelle case per i soggiorni estivi, in quanto solidi -i cassetti non si aprono, le ante degli armadi restano incastrate- non bisognosi di alcuna manutenzione, resistenti ai bambini terribili innervositi dallo iodio e alle tonnellate di sabbia che vi vengono involontariamente introdotte - che la sabbia, si sa, si nasconde e si manifesta misteriosamente dove meno te la aspetti, anche molti mesi dopo il rientro in città. 
Il mobilio mostruoso delle vere case per la villeggiatura svolge una duplice funzione: far sentire a casa, rilassati e senza l'ansia di pulire e curare i pezzi d'arredo, ma allo stesso tempo conferire all'abitazione un tono di totale estraneità rispetto alla personalità di coloro che vi soggiorneranno per qualche mese, lasciando loro, in questo modo, il gusto della scoperta di particolari e suppellettili che non si sognerebbero mai di introdurre in casa propria. 
La sintesi tra gli opposti dialettici di familiarità/estraneità con l'abitazione riccionese è rappresentata da un sentimento che definirei benessere, cioè un misto di sollievo perché tutto quanto ti sta intorno ti appartiene, o quantomeno appartiene alla tua memoria, e altrettanto sollievo generato dal pensiero che tutta questa accozzaglia di arredi orribili in realtà non ti appartiene affatto. 
La casa che ho affittato quest'anno è assolutamente perfetta. 
Si apre su saloncino col pavimento in linoleum verde marmorizzato, arredato con un soggiorno recentissimo - fine anni Sessanta- costituito da un tavolo rotondo, una credenzina e sei sedie in legno, impiallacciate con una formica che simula le venature di un legno inesistente in natura. 
Un piccolo divano e due poltrone ricoperte da un terribile drappeggio floreale completano il soggiorno, impreziosito inoltre da un mobile con vetrinetta, pessima imitazione di un fine Ottocento. 
Proseguendo, si oltrepassa il disimpegno che porta alle camere da letto e si accede ad un tinello, sulla cui parete di sinistra è appoggiato un altro pezzo della serie del salotto, un mobile da soggiorno con ante, vetrine e piani a giorno, magnifico nel suo genere grazie alla schiena gialla, all'impiallacciatura in finto legno e alle maniglie a cilindretto poste su inserti in metallo satinato. 
In angolo, a destra nel tinello, si può ammirare un esilarante caminetto semicircolare in muratura, che imita talmente bene la muratura stessa, da sembrare realizzato con un altro materiale. 
Il cucinotto è angusto, ma quest'anno ho un frigorifero alto quasi come me e non il solito comodino refrigerato che mi costringerebbe ad una spesa quotidiana. 
Alle stanze da letto e al bagno si accede grazie a un piccolo disimpegno sulla destra del salone. 
La camera dei bambini è arredata in perfetto stile anni Sessanta, con due lettini gemelli, un armadio e un comò con specchiera che ne occupano tutta l'area, costringendo i visitatori a camminare rasente i muri. 
Nella mia camera si può invece apprezzare un trionfo dello stile del ventennio: letto, comodini, comò, armadio e scarpiera, tutto in sedicente radica, con importanti maniglie plastificate ad imitazione ottimistica di avorio. 
Il bagno è piccolo, ma completo, con rivestimento celeste inframezzato qua e là, con discrezione, da preziose mattonelle raffiguranti marine e scene di pesca. 
I pavimenti, eccetto il signorile linoleum, sono tutti in marmiglia ad imitazione di una palladiana, pur con diverse sfumature di colore. 
Quello che ho apprezzato maggiormente nella mia casa di quest'anno è tuttavia l'inestimabile raccolta di tele e oggetti artistici, rara anche per una casa riccionese. 
Visitiamo questo singolare museo. 

Subito sulla destra, entrando, ecco due magnifiche tele del Biserani, entrambe datate 1942, periodo durante il quale l'artista ha attraversato un probabile travaglio stilistico, come risulta evidente dall'analisi comparata dei due notevoli dipinti. 
Il primo, infatti, eseguito tra l'inverno e la primavera del '42, risente fortemente dell'influenza impressionista: si tratta di un olio su tela, raffigurante una colazione all'aperto, nella quale le figure sedute a tavola sono delineate con pennellate nervose, benché la scelta dei colori lasci trasparire la forte influenza dell'insegnamento di Renoir sul Biserani. 



La seconda tela è sempre un olio, realizzato nell'agosto dello stesso anno, raffigurante una spiaggia estiva: la pennellata si fa più ampia e decisa, le figure sono delineate con una leggera deformazione del reale, ma minore staticità, le tinte diventano solari, accese, con forti dominanti rosse e gialle, quasi a voler preannunciare tendenza dell'artista verso il fauvismo. 
Entrambe le tele sono incorniciate da una pregevolissima plastica finemente intarsiata. 



Accanto ai dipinti del Biserani, un'opera importante del Feltraro: "Ritratto del nonno", datata 1963. 
Il volto del vecchio raffigurato in questa tempera risalta di un inquietante pallore sullo sfondo scuro. 
L'espediente pittorico di fasciare il collo dell'anziano e distinto signore con una sciarpa color sanguinaccio, permette di dare risalto alla luminosità azzurra del suo sguardo e di conferire ad esso una singolare intensità. 
Il bellissimo dipinto merita la sobria cornice in legno chiaro e lino con la quale è appeso alla parete. 

Sulla sinistra, in angolo, due riproduzioni di stampe dell'Ottocento: "Le chien bien-aimé" e "Le retour de la chasse" di ambientazione inglese e soggetto venatorio. Sono molto ben realizzate le sagome e gli sguardi dei cani, meno indovinati i caratteri dei cacciatori. 
Ciò che suscita un certo turbamento di fronte a questi due quadri, è la raffigurazione di un'autentica strage di selvaggina, quasi a voler sottolineare il sodalizio dell'uomo cacciatore coi propri cani rispetto alle altre meno nobili creature. 
I colori, sicuramente posteriori agli originali, conferiscono alle due opere una bruttezza non comune. 

Di fronte all'ingresso una serigrafia di Zironi, dal titolo "Un petit peu di chaleur pour Toulouse-Lautrec", raffigurante due signorine seminude accanto ad un gigantesco termosifone. 
La prima delle due è coperta dalla vita in giù dal calorifero stesso, mentre la seconda, che copre il proprio seno e quello della compagna con una piuma di struzzo, ha i fianchi fasciati da una preziosa trina, evidente richiamo al disegno che abbellisce anche gli elementi del vero protagonista dell'opera: il termosifone. Cornice di plastica a imitazione faggio. 

Sotto a quest'ultima opera d'arte si trova una ceramica risalente al tardo-faentino, purtroppo in pessimo stato di conservazione. 

Sulla vetrinetta del salone, nello splendore della sua apertura alare, è posta in bella evidenza un'aquila, apparentemente di gesso, che ad un esame più approfondito risulta invece essere di plastica piena, pesantissima. 
Se lo sguardo del rapace possiede una certa somiglianza col modello naturale, meno riuscite appaiono invece le possenti zampe, aggrappate ad una lastra di roccia in precario equilibrio su altri lastroni rocciosi. 
Terribile e contundente. 

Leggiadro il piccolo barometro bugiardo appeso all'ingresso del tinello, che ha indicato tempo bello durante tutta la giornata di pioggia torrenziale. 

Sul caminetto spiccano due piatti identici in lega di rame brunito, con lavorazione a sbalzo sul tema" Gruppo di case con albero, siepe, montagne sullo sfondo e staccionata". 
Si commentano da soli. 

Veniamo ai quadri del tinello: il primo è una riproduzione in cartoncino di un acquerello, raffigurante un bambino biondo che tiene in braccio un cucciolo di cane. Ai suoi piedi, inspiegabilmente, è deposto un cilindro nero rovesciato. 
Non è chiaro il materiale di cui è costituita la cornice, ma al tatto sembra un impasto di sughero e carbonella. 

Sempre incorniciato con lo stesso materiale, il dipinto più significativo, a mio avviso, di tutta la galleria. 
Si tratta di una riproduzione, sempre su cartoncino, di un olio con soggetto databile tra il Cinquecento e il Seicento, probabilmente della scuola di Velàsquez.
Protagonisti dell'opera una cantatrice discinta, che mostra il seno seduta al tavolo di un'osteria e due uomini, un po' bravacci, un po' mercenari, un po' moschettieri - l'opera è veramente molto complessa. 
Dei due uomini l'uno, quello accanto alla cantatrice, la guarda con occhi concupiscenti, pur indicando con la mano il suo compare, personaggio dall'aspetto più violento, che alza un calice - che a me francamente sembra un modernissimo bicchiere da cocktail- in un simbolico brindisi. 
La donna pare seguire con lo sguardo il gesto ed abbandonare la sua musica come colta da improvviso cedimento amoroso verso l'uomo col calice. 
Quest'ultimo, fatto singolare, sembra avere un'unica gamba destra nella posizione in cui invece dovrebbe trovarsi la sinistra, come si può notare osservando l'allacciatura dell'unico stivale visibile. 
Questo stivale, a sua volta, oltre ad essere evidentemente troppo piccolo per un piede maschile, ha un'allacciatura piuttosto strana, costituita da due spese lingue di pelle che non vengono tenute ferme né da fibbie, né da lacci, come ci si sarebbe potuto aspettare all'epoca, bensì dal velcro che si usa per le moderne scarpe da basket. 
Opera complessa, davvero. 

In alto, in posizione discreta all'uscita del tinello, un cameo : un santino di cartone in stile preraffaellita, grande come un quaderno, incorniciato, che mostra due santi non identificati in atto di adorazione di una Madonna con bambino seduta su un piedistallo, sulla cui base sono incise le parole "Ave Maria" in carattere Times New Roman stampato maiuscolo. 


Nella camera matrimoniale, protegge il mio sonno un dipinto ovale, una tempera su cartone, raffigurante un Cristo dallo sguardo malinconico che reca in mano un cuore alato, sanguinante e cinto di una corona di spine. Di questa sacra immagine colpisce in particolar modo lo sfondo: vicino al Cristo vi sono alcune costruzioni basse che richiamano alla mente la Galilea, mentre più lontano il borgo raffigurato ricorda molto S.Marino. Ancora più lontano, alle spalle del Nazareno, si vede chiaramente la Tour Eiffel : che voglia simboleggiare l'universalità del messaggio cristiano? Niente male anche la cornice, impreziosita da un rosone di ghiande. 

Dulcis in fundo la camera dei bambini: è lì infatti che si trova l'opera più importante di tutta la galleria. 

Sui letti è appeso un piccolo smalto su vetro con l'immagine di una Madonna elegantissima che alza un velo su un bambinetto grasso deposto su morbidi cuscini di raso: operetta minore, di scarsissimo interesse, specialmente perché situata nella stessa sala alla cui parete di destra è appeso un mirabile crocifisso in peltro dorato, da me battezzato il "Cristo sulla braciola". 
Un giovane Gesù, femmineo e macilento, è infatti inchiodato mani e piedi ad una sorta di enorme spuntatura di maiale, come sacrificato, nella sua sofferente frugalità, all’indifferente opulenza della tradizione gastronomica emiliano-romagnola. 
Non so chi possa essere l'autore di un oggetto simile, ma dalla bruttezza dell'oggetto stesso traspare la genialità perversa del suo artefice. 

Mio fratello, che ha recentemente visitato e apprezzato la galleria, mi ha tuttavia fatto rilevare che in una simile collezione di inestimabile valore non si spiega l'assenza di un pezzo classico, quale la Torre di Pisa realizzata in conchiglie. 
In effetti si tratta di un fatto strano e di una lacuna che, per amore dell'Arte, mi sono sentita in dovere di colmare personalmente. 


7 commenti:

  1. Mi trovo in attesa in ospedale, da 4 ore, per degli esami...ed è davvero interessante visitare la mostra (senza troppa ironia...) della casa di Riccione che descrivi cosí accuratamente. Ma, il caminetto: ??! Funzionante? Sarebbe perfetto per la braciolata...(crocifisso permettendo..) Abbraccio Rosa

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    1. Il caminetto non credo fosse funzionante: troppo lindo per essere stato usato. La casa era meravigliosa, ogni volta che mi guardavo intorno mi veniva da ridere!

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  2. Il Biserani aveva un carattere estroverso e giocherellone, che gli costò la vita. In visita nello studio del collega Lucio Fontana, si nascose dietro una tela con l'intento di fare "Bu!" proprio mentre il maestro la colpiva con un fendente di scimitarra per uno dei suoi famosi tagli. La testa del Biserani rotolò miseramente sul pavimento, finendo tra le gambe di una sedia. Impassibile, Fontana commentò: "Gol".

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    1. Pop, forse tu non sai che il Biserani era detestato da Guttuso, che arrivò a definirlo "un imbianchino approssimativo". Il Biserani allora, approfittando di un'assenza del collega che si era recato all'estero, riuscì a farsi assumere per rinfrescargli lo studio e in pochissimo tempo gli abbozzò sul soffitto l'affresco michelangiolesco della Cappella Sistina, nel quale però tutte le figure avevano il volto del Biserani stesso. Per la stizza, Guttuso vendette la casa.

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  3. Si racconta nelle gallerie d'arte contemporanea e nei salotti culturali meglio frequentati che la celebre merda d'artista inscatolata da Piero Manzoni fosse un omaggio al Biserani, da lui detestato per il celebre scherzo del pennello intinto nella Salsa Rubra lasciato sul suo tavolo da lavoro.

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  4. Circola anche un aneddoto che racconta di quando il Biserani, incaricato dall'amico De Chirico di preparargli tempere all'uovo, si limitò a mescolare i colori con la maionese. Questi deturparono le opere del Maestro, ma suggerirono al Biserani di sperimentare quella che poi fu definita "pittura untuosa" e farne una mostra personale. Purtroppo le opere di questo periodo sono andate tutte perdute, poiché i quadri vennero interamente spalmati sulle tartine il giorno del vernissage.

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  5. Il famoso vernissage della personale alle Terme di Riccione il 12 ottobre 1950. Ne parlò persino il Resto del Carlino.

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