domenica 17 marzo 2013

Ragù for dummies


Ammetto che si tratta di una debolezza, ma ogni tanto mi vado a leggere in rete le ricette dei piatti tipici bolognesi, quelli che ho visto preparare in casa fino da quando ero bambina e che anch’io cucino ormai da una vita.
C’è sicuramente una forma di supponenza, quella di chi sente di appartenere a una ristretta cerchia di eletti che certe ricette le conoscono da sempre.
A dire la verità non si può neanche parlare di vere e proprie ricette, è più corretto piuttosto riferirsi a conoscenze di un sapere così antico e così radicato, da avere perso le tracce  di quella volta che le abbiamo imparate.
Il ragù bolognese è senza dubbio la specialità per la quale questo discorso vale più che per qualsiasi altro piatto.


Leggere la ricetta del ragù mi diverte moltissimo, ho sempre l’impressione che si parli di qualcosa d’altro rispetto a quello che ho sempre fatto o mangiato io,  quello che vedevo preparare dalla mamma, o dalla nonna, o da Carmen - la mia amatissima dada, o da mia suocera, o da mio marito: tutti ragù meravigliosi, tutti diversi, tutti veri ragù bolognesi.
C’è una distanza enorme tra la ricetta formalizzata e quella casalinga, data senza dubbio dalla pratica, da un bagaglio di lunga esperienza e dal gusto personale che rendono la seconda irripetibile da chiunque non ne sia l’originario creatore.
Alla ricetta formale mancano l’amore e la cura che ciascuno di noi mette nella preparazione, non c’è traccia di quel tocco che rende ogni ragù diverso dall’altro, e che non è assolutamente possibile individuare.
Esiste una ricetta ufficiale del ragù, depositata dal 1982 presso la Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Bologna da parte dell’Accademia Italiana della Cucina, e personalmente consiglio di seguirla solo la prima volta - se non conoscete qualche bolognese che ve la racconti o vi mostri come si fa-  poi buttatela e cominciate a metterci del vostro. 
Indubbiamente con la ricetta il sugo vi verrà benino, ma non molto diverso da quelli che si comprano confezionati o da quello che all’estero usano per condire gli spaghetti: un ragù standard, senza personalità, dignitoso ma senza guizzo di genio.
Per inciso, già che ci sono: gli spaghetti al ragù sono un’eresia, e non voglio aggiungere altro, perché la sola idea di un simile uso improprio di uno dei sughi più buoni del mondo, accoppiato contro natura con una delle paste più buone del mondo, mi offende.
E visto che mi voglio togliere un altro sassolino dalla scarpa, desidero essere molto chiara circa l’uso della pentola a pressione per preparare il ragù: se lo fate costituitevi, è un reato.
Certo, potreste avere l’impressione che sia venuto benissimo e che non si avverta alcuna differenza tra il vostro ragù e quello preparato con il procedimento tradizionale -e forse potreste anche avere ragione- ma dentro di voi dovrebbe premere un profondo senso di colpa per avere mistificato, per avere guardato solo al risultato eludendo il rituale, incuranti di quell’ingrediente prezioso in cucina che è la pazienza, importante quanto la buona qualità degli ingredienti.
Il ragù bolognese è frutto di una liturgia ben precisa, che per i non religiosi chiamerò algoritmo -rappresentabile anche con un diagramma di flusso, a voler essere  proprio pedanti sull’approccio scientifico.
Da noi  si dice: “Il ragù va custodito”. 
É una verità di profonda saggezza, che lascia intendere come questo sugo non possa vedere la luce da cuochi distratti, frettolosi, poco motivati: se occorrono minimo tre ore, per quel tempo è necessario dedicarsi al ragù. 
Certo, nel frattempo si possono svolgere anche altre faccende, ma devono essere poco impegnative e non sottrarre al sugo la necessaria concentrazione e le cure indispensabili: va guardato, rigirato, assaggiato, amato per tutto il tempo.
Tre ore sono il minimo e poche storie. Se poi sono quattro è anche meglio.
Mio figlio, che potrebbe lavorare come assaggiatore ufficiale di ragù bolognese, a metà cottura comincia a provarlo con il pane - a dire il vero si fa dei veri e propri panini-  e poi esprime il suo autorevole parere. 
Dopo un paio d’ore di cottura di solito è: “ Buono, è già buono così, anche se è giovane. Quando sarà finito sarà ottimo”.
Normalmente torna dopo un quarto d’ora, si fa un altro panino, commenta ancora scuotendo la testa compiaciuto e chiede: “Tra quanto sarà pronto?”
“Un’ora o due”- rispondo io.
Il profumo che impregna la casa addolcisce l’attesa, ma allo stesso tempo la rende struggente, tuttavia mio figlio non manifesta alcun segno di protesta, non un cenno di impazienza: sa che è così, sa che la perfezione di un ragù richiede tempo.
La ricetta ufficiale enumera gli ingredienti riferendosi alla carne in etti, unità di misura sconosciuta in casa mia: da noi si ragiona sempre in chili.
Con due chili e mezzo di carne mi vengono tre barattoli grandi di ragù, che il più delle volte ripongo in parte nel caveau del freezer, per ogni evenienza. 
Quando ne ho bisogno lo faccio scongelare, poi lo riscaldo con un po’ di latte ed è come nuovo.
Uso la carne di manzo migliore, che faccio macinare apposta, e ci faccio sempre aggiungere una piccola parte di salsiccia per renderlo più saporito; poi, in ordine di apparizione, finiscono nella grande casseruola: olio e burro, o lardo, sedano carota e cipolla, vino rosso, triplo concentrato di pomodoro, brodo granulare, passata di pomodoro, sale, latte. 
Gli ingredienti vanno aggiunti uno alla volta: prima il soffritto, poi si fa rosolare la carne, poi si mette il vino rosso e comincia la prima ora di attesa -finché il fuoco lento non avrà fatto assorbire tutto il vino- poi il concentrato di pomodoro diluito nel brodo - e si aspetta- poi casomai la passata se piace il ragù più rosso- e ancora attesa- infine il latte -e via ancora ad aspettare, sempre mescolando, sempre assaggiando ogni tanto, sempre verificando che il sale sia giusto e la carne non faccia grumi.
Tre ore minimo, e va custodito.
Non è solo il sapore che ci dice che è pronto.
Il ragù finito ha un profumo e un aspetto che non ingannano, che sanno parlare al cuore del suo genitore, il solo che possiede quella specifica sensibilità che permette di comprendere se quello è il sugo perfetto, della giusta consistenza a seconda che si intenda utilizzarlo per condire la pasta, o le lasagne, o la polenta.
Io lo faccio così, è la mia ricetta personale, e come ho già detto è diversa da quella di ogni bolognese che prepari il ragù secondo la sua personale ricetta.
Va detto che ciascuno è convinto di essere depositario del sommo segreto sapere, non accetta critiche e non sente ragioni su procedimenti diversi, nella monolitica convinzione che il proprio ragù sia il migliore di tutti.
Ovviamente si tratta di un errore, perché il ragù migliore di tutti è il mio.


4 commenti:

  1. OK, mi hai fatto penare parecchio (dovrei essere a dieta).
    In compenso mentre leggevo mi sono accorto che le stesse cose potrei dirle (con lievi modifiche, ovvio) sulla programmazione di una volta, quando non c'era la rete e tanto meno i telefonini, il mobile.
    Buon appetito.

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    1. Juhan, dovrei essere a dieta anch'io. Scrivo di cibo nella speranza che mi passi l'appetito...

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  2. Grazie, speravo che prima o poi pubblicassi la ricetta. I panini col sugo me li facevo anch'io quando stavo dai miei, per non parlare delle tazze di brodo che sottraevo alla pentola quando si preparavano le minestre. Troppo buono il ragù, lo cucino spesso anche se, da romano, sicuramente non sarà mai buono quanto il tuo.

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