Non è necessario un secondo squillo: sono già sveglia.
Nessuna concessione al delizioso stato di ridefinizione della coscienza, nessun indugio, una macchina da guerra, risorta dalla breve morte di un sonno benedetto dalle benzodiazepine, pronta a ripartire per affrontare un serrato ruolino di marcia.
Sopravvivenza spicciola, quasi un vanto, come se non fosse necessario, indispensabile, sine qua non.
Appena risorta – e senza aloni di luce che lascino ipotizzare il miracolo quotidiano di un risveglio- devo risistemare il letto.
Odio i letti sfatti, nulla mi dà maggior senso di trasandatezza, eccetto forse il crollo di un ponte, o le immagini di un disastro ferroviario. Sempre di ponti e disastri si tratta, del resto, sottili ponti di incoscienza vicini alla morte, disastri di deviazioni oniriche dalla logica che dispone con cura i mattoni del suo muro intorno alle nostre ingenue fantasie.
Nonostante tutto, si risveglia con me anche il rifiuto e inizio un altro giorno da funambola, in bilico tra dovere e volere, tra condizioni e condizionali.
Lo specchio, per banale che possa sembrare, mi rimanda una delle poche certezze sulle quali possa contare: quella sono io, che non faccio mai in tempo ad arrivare a conoscermi che già sono costretta a cambiare di nuovo. Mutevole come un caleidoscopio, destinata ad altri cinquecento anni da fenice prima dell’ennesimo rogo.
Sono sfinita, ma vado avanti forse perché mi piaccio, forse perché ormai ci sono abituata a vuotare e riempire cassetti per traslocare l’anima.
Ne approfitto per fare un po’ d’ordine, magari capita che trovo un’effimera chiarezza sulla quale adagiarmi a prendere un attimo di respiro, magari oggi succede qualcosa di bello, perché no?
Non succede niente quasi mai, e ancora meno spesso accade qualcosa di bello, di veramente bello, ma anch’io ho avuto il tempo della mia immortalità e sono stata abbastanza intelligente da fare un pieno di bellezza quando ancora non avevo bisogno di fare scelte, prima che le scelte mi chiudessero molte strade, prima che le strade franassero sotto i miei piedi lasciandomi appesa con le unghie al dirupo.
Ma mi sento ottimista, nonostante sia difficile trovare un paio di calzini in mezzo al caos e benché i lacci delle scarpe mi brucino il tempo a disposizione per preparare il caffè.
I ragazzi si svegliano: mia figlia entra nel bagno, beatamente assonnata, quasi piegata dal cespuglio di capelli che la fanno apparire una giovane Erinni.
In qualche modo riporta giustizia, è l’incarnazione di ogni valido motivo possibile per aver fatto scelte, essersi preclusa strade, restare aggrappata al dirupo. Lei è ancora immersa nell’immortalità e il mio compito è darle il tempo per riempirsi a sua volta di bellezza, per affrontare la sua vita che già si preannuncia dura.
Suo fratello, bruno e statuario, silenzioso e discreto si prepara in camera da letto: da quando i suoi piedi hanno bruciato in lunghezza i nostri, difende con accanimento un pudore che è diventato privacy. Vorrei abbracciarlo ancora come quando era più piccolo e qualche volta lo faccio, ma non c’è più l’innocente sensualità di un bambino e ora sono imbarazzata quanto lui.
Siamo loro ed io, io e loro, nessun altro.
Abbiamo ricordi solari e dolorosi da condividere o da tacere, abbiamo un amore da coltivare nelle lacrime o nel silenzio e una vita davanti, ancora da scoprire.
Non è necessario un secondo squillo: sono già sveglia.
Ho i miei ottimi motivi per ritornare in fretta dal sogno alla veglia, per non concedere nulla al torpore e per affrontare i miei dubbi in perfetta coscienza.
Ho due ottimi motivi, i miei figli.
Anzi, di motivi ne ho tre: ci sono anch’io, che non soffoco più il grido, che ascolto le mie voci e che mi tengo stretto tra le mani il buco nello stomaco cercando di fermare il panico nel modo più semplice.
“Non avere paura, non avere paura, non avere paura, ci sono qui io”.
Io chi?
Quella dello specchio, quella che alla mattina non ha tempo neppure di farsi il caffè, che non trova i calzini, che adora i suoi figli, quella che ama la vita, malgrado tutto.
E allora sento la forza di un torrente, dell’acqua che leviga i sassi, scivola, rotola, ruggisce, scroscia, scende a valle e si perde nel mare, finalmente, perché l’orizzonte non è mai abbastanza lontano da non avere voglia di inseguirlo.
Uepp! 10 & lode.
RispondiEliminaAdesso vado a vedere cosa sono le benzodiazepine che hai introdotto a tradimento. Mica ho fatto il classico, io.
Juhan, anche se credo che tu mi stia prendendo in giro e lo sappia, te lo dico io: le benzodiazepine sono una categoria di psicofarmaci, tranquillanti, ansiolitici e ipnotici.
EliminaPer un lungo periodo, soprattutto dalla morte di mia sorella e ancora di più dopo la morte di mio marito, le ho frequentate parecchio, insieme agli antidepressivi...insomma, diciamo che ero un po' giù.
Poi, un bel giorno, è finito il blister e non l'ho più ricomperato.
La cosa curiosa è che sono stata benissimo, forse anche meglio, ma questa è una storia lunga e ne parlerò magari una volta di queste: ho semplicemente imparato a usare, ogni giorno, la forza di quel torrente.
Hai ragione, sono stato troppo trutso, perdono.
EliminaPerò pensa che ero partito con l'intenzione di lodare la tua prosa, se ti dicessi cosa sto leggendo...
Poi ci sarebbe anche un'altra roba: hai mai preso il bus al mattino con gli studenti addormentati e armati di zaino sulla schiena?
Ancora 'mici?
Juhan, ma scherzi? certo che siamo amici e non sei stato affatto trutso!!!
EliminaIo non faccio mai mistero delle mie cose, non solo perché non nulla di cui vergognarmi, ma soprattutto perché se le mie esperienze, belle o brutte che siano, possono essere scambiate con altri, è tutta ricchezza che circola!
Grazie a te, come sempre, per le lodi, per l'attenzione che mi dedichi e perché ogni domanda o commento di buon senso sono occasioni per aprire un dialogo.
Al mattino, comunque, non pendo il bus...lo detesto, per una questione di odori...però, da insegnante, conosco bene lo sguardo vuoto dello studente assonnato al mattino!