venerdì 4 ottobre 2013

Aiace e il peperone maledetto

Insegno in una scuola di campagna, una struttura vecchiotta e al di fuori di qualsiasi criterio di sicurezza, ma graziosa e circondata da un ampio giardino. 
Data la posizione isolata, la bidella ne è anche custode, poiché abita infatti con tutta la famiglia in una casetta ricavata da un’ala dell’edificio. 
Detta così sembra una scuola grande, ma in realtà è piccolissima: le cinque classi elementari sono alquanto sacrificate e disponiamo, come unico spazio comune, di una ridicola aula computer che funge anche da biblioteca, sala fotocopie, sala insegnanti e sgabuzzino per le scope.

La bidella, una buona donna non intaccata dalla cultura e già di per sé non molto intelligente, considera non tanto la sua casa un prolungamento della scuola, quanto piuttosto viceversa, tant’è che tempo fa ci vedemmo costrette a spostare la fotocopiatrice per evitare che l’umidità del suo bucato, steso nella stessa stanza, ne compromettesse i meccanismi. 

Il frigorifero, che dovrebbe contenere il ghiaccio per le innumerevoli contusioni dei nostri vivacissimi alunni, è invece stipato di strutto, barattoli di pesto, confetture che vengono confezionate dalle sue stesse mani e prosciutti, che la bidella, giocatrice incallita, vince ad ogni possibile tombola del comprensorio.

Lo scorso anno, che avevamo una classe in meno e quindi un’aula vuota, nella mattinata la signora vi si ritirava a preparare col matterello le piadine o le tigelle per la nostra merenda. 
Nulla da dire, donna di rara generosità.
Il suo mansionario, tuttavia, sembra essere protetto più di un dossier della C.I.A.: la nostra bidella, infatti, fa di tutto salvo ciò che ci aspetterebbe comunemente da una persona con identico ruolo in qualsiasi altra scuola. 

Non pulisce, con cambia la carta in gabinetto, non apre la porta, non risponde al telefono, non c’è mai quando occorre sorveglianza. 
In compenso è nell’orto ricavato nel giardino della scuola, è a raccogliere fagiolini nel campo, è in casa a fare lavatrici oppure, molto più frequentemente, è nel suo spazio a cucinare.

Si entra a scuola e si percepisce odore di minestrone che impregna l’aria: eccolo lì, bolle allegramente tra l’aula di quinta e quella di terza; si sente un costante martellamento: non sono i tanto agognati lavori alla struttura, ma la bidella che col suo pestello prepara, appunto, il pesto; mancano gli asciugamani o i gessi: la bidella non può, è impegnata a pulire i carciofi per le lasagne vegetariane.

Tutta la mattinata è un viavai con scolapasta, cassette di legumi e ortaggi, barattoli, libri di ricette. 
Nella sua incontestabile generosità distribuisce i suoi manufatti a tutte le maestre, eccetto alla coordinatrice del plesso, che le sta antipatica e di conseguenza non mangia mai niente. 
L’unica volta che le ha regalato un vasetto di qualcosa è stata quella in cui le ha rovesciato un sugo sulle scarpe nuove. 
A noi altre invece va benissimo: la scuola è la migliore trattoria della zona.

Giorni fa la bidella ha cominciato a lambiccare con dei piccoli peperoni, disponendoli ordinatamente in teglie per la cottura a vapore. La vedevamo molto impegnata in questo lavoro e ogni tanto si veniva a giustificare con noi, irrompendo nelle classi come una folata di vento, dispensandoci confuse spiegazioni circa ricette segrete di qualche parente. 

Poiché non conosce l’uso della frase minima, composta di soggetto e predicato, non si capisce mai bene di cosa parli.

Dopo un paio di giorni, la mia collega di matematica ha cominciato a ringraziarla per i peperoni buonissimi, che – testuale – “…erano così piccanti che mi si è sfiammato un ascesso. Poi ho corretto i compiti fino alle tre e mezza di notte, mi hanno caricata di energie”. 

Io ero presente e alquanto incuriosita. 
Poiché sono una golosa patologica e una ruffiana professionale, ho cominciato a dimostrare alla bidella un vivo interesse verso i suoi peperoni, nella speranza di rimediarne un barattolo, cosa prontamente avvenuta il giorno successivo.



Giunta a casa, nonostante l’aspetto sinistro della poltiglia nella quale galleggiavano i peperoni e incurante degli avvertimenti subliminali della collega, mi sono avventata su uno dei bocconcini, intero.
Il primo impatto è stato devastante: mi sembrava di avere in bocca un bolo di magma incandescente. Ho urlato, poi, tentando di tamponare l’ustione ho immediatamente addentato del pane, per fortuna con molta mollica morbida, ma questo non mi ha impedito di cominciare a lacrimare. 

Le mie papille, oramai cauterizzate, non hanno distinto alcun sapore. 
Ho richiuso il barattolo, incerta se chiamare un esorcista a benedire il frigorifero. 
Questo accadeva all’ora di pranzo.

Alla sera, il mio compagno, detto Aiace per la sua prestanza fisica, altro goloso patologico e spizzuccatore professionale, ha avvistato i peperoni. 

Giuro che ho cercato di dissuaderlo, ma invano: benché tagliandolo a metà, si è mangiato un peperone, uno solo. 
La sua reazione è stata più composta: ha cambiato colore, ha mosso la bocca, ormai insensibile, per bofonchiare qualcosa che non ho capito, ha richiuso il barattolo e, dopo una buona decina di minuti ha dichiarato lapidario: “Mai più”.

La serata è poi proseguita nel consueto clima familiare. Quando siamo andati a dormire, io mi sono infilata i tappi nelle orecchie -Aiace russa come un tirannosauro con la sinusite- e sono praticamente svenuta, come al solito, piombando in un sonno tale che la mia famiglia avrebbe potuto traslocare nottetempo con tutto il mobilio a mia insaputa. 
Al risveglio mi sono trovata di fronte Aiace che sembrava reduce da un naufragio: ricci ingovernabili come impastati di sabbia e salsedine, barba lunga, occhio con pupilla a punta di spillo e occhiaie blu, molli come calamari. 

Non mi ha neppure salutata, ma è sbottato subito: “Ma che cazzo c’era nei peperoni? Peyote?"

Era obiettivamente stravolto. 

Mi ha raccontato di aver visto un film mentale durato ore, che lui ha definito “ Una di quelle proiezioni allucinanti degli anni Settanta durante le quali stavi murato al cinema, senza via di scampo, tipo Zabriskie Point, con esplosioni al rallentatore e scenari apocalittici”.
Lo guardavo mentre scuoteva la testa sconsolato: “Quel peperone allucinogeno mi ha modificato il carattere. Sono stato geloso di te per almeno tre ore, ti vedevo che ti accoppiavi selvaggiamente con un tizio grande e grosso, con un ciccione … ecco, io che non sono mai stato geloso in vita mia – proseguiva – sono stato malissimo, volevo ucciderti nel sonno… tutti i miei principi sono crollati”. 
Si aggirava per la stanza gesticolando, con espressioni sul viso che in cinque anni non gli avevo mai visto.
Un uomo ferito, nel profondo.

Ho cercato di usare molta dolcezza, se non altro sulla faccenda degli accoppiamenti selvaggi, ma temo che la sua fiducia nei miei confronti si sia incrinata per sempre.
Quando le acque si sono calmate, abbiamo deciso di conservare i peperoni per qualche amico, per verificarne l’effetto anche su altri organismi.
Tuttavia io sono stata attratta dalle proprietà allucinogene di questi peperoni, che mi è stato detto dalla bidella essere confezionati con un ripieno di tonno, capperi, prezzemolo e aglio, secondo una vecchia ricetta, presumo di Mephisto, lo stregone nemico di Tex Willer. 

La bidella ha pure aggiunto: “ Ma tu avevi quelli cotti o quelli crudi?” 
e a fronte della mia risposta: “Crudi” ha affermato: “Quelli crudi sono molto più leggeri”.

A questo punto non ho resistito: a mezzogiorno ne ho mangiati tre. 
Dopo lo stordimento iniziale non è successo nulla, anzi, devo dire che li ho anche apprezzati.
Non paga, e avendo fallito l’esperimento -in assenza di visioni- ho ritentato alla sera con quattro peperoni interi, ma sul momento non ho provato niente, forse per avvenuta assuefazione. 

Verso le tre di notte, tuttavia, mi sono svegliata, con un bruciore allo stomaco terribile. 
Ho gironzolato per casa, acceso il pc, fumato qualche sigaretta e… finalmente! 
Ho cominciato a cavalcare per le praterie celesti accanto al Grande Manitù: un viaggio bellissimo, mistico, coinvolgente…

Nel giro di tre giorni ho finito il barattolo e sono ormai peperonidipendente.
Benché Aiace si prodighi nel tentativo di disintossicarmi con minestroni di verdura, io sono molto triste.

<Trattandosi di opera di fantasia, ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale>